domenica 5 giugno 2016

Il Corpo che salva


(...) Abitualmente il termine mistero è usato per indicare qualcosa che non capiamo; così diciamo di fronte al mistero ci dobbiamo fermare. Invece mi permetto di utilizzare la parola ‘mistero’ al contrario: il mistero è quello che ci fa capire meglio la realtà, se lo prendiamo sul serio, e diventa una luce che illumina il senso delle cose, anziché oscurarlo.
Quindi, quando Gesù dice: “Questo è il mio corpo dato per voi” sta dicendo per davvero che si è donato totalmente a noi? La risposta di Lutero è la più saggia, quando, commentando l’affermazione di Gesù dice: Gesù ci ha detto una cosa grandiosa, prendiamola sul serio, per quello che Lui ha detto, non dobbiamo neppure cercare di ragionarci troppo (...). Lutero si concentra su questa verità che Gesù ci sta proclamando: la verità più bella, più grande, che renderebbe più bella la vita di tutti se la rendessimo vera anche nella nostra vita, se ognuno di noi potesse dire: Io sono per te! – il marito alla moglie, la moglie al marito, i genitori ai figli, l’amico all’amica o all’amico, agli amici, in tutti i rapporti: Io sono tuo. 
Se questo diventasse la verità che illumina tutto il resto della vita, allora la vita sarebbe un bellissimo miracolo, una cosa meravigliosa. Ma siccome non è così, la vita non è un miracolo, una cosa meravigliosa, ma continuiamo a trascinarcela come una cosa oscura, impedita, mortificata … Gesù annunzia questa verità, che passa attraverso il corpo, le mani, lo sguardo, gli occhi, il contatto, il prendere e mangiare: Mangia, facciamo una cosa bellissima … Gesù potenzia al massimo il valore del simbolo, che diventa realtà: Questo pezzo di pane sono io per te, portami dentro, io sono un tutt’uno con te. Qualcosa da ridire? No. Potessimo farlo anche noi …
          E l’altro aspetto, che ci sfugge dalla seconda lettura quando Paolo sta narrando l’istituzione della mensa del Signore, dell’Eucarestia, in un contesto preciso in cui, a Corinto, un gruppo di cristiani si radunava a casa di una famiglia, si invitavano reciprocamente per cenare e mangiare tutti assieme. Invece capitava che alcuni mangiavano e altri guardavano; alcuni addirittura alzavano un po’ il gomito e altri rimanevano all’angolo, digiuni. San Paolo dice: Ma il Signore Gesù ci ha detto che quando ci raduniamo, e quindi facciamo cena nel Signore, prima di celebrare la cena del Signore, dobbiamo dividere quello che abbiamo e fallo bastare a tutti. Se non facciamo questo, mangiamo indegnamente il corpo del Signore.
E qui c’è l’altro aspetto misterioso, ma stupendo della nostra vita: il corpo della nostra umanità ormai è il corpo del Signore. E quindi tutto quello che facciamo per coltivare questo corpo dell’umanità – a partire dai gesti di condivisione, ai gesti di affetto, ai gesti di cura – viene fatto al Signore. 
E quindi dall’Eucarestia che noi celebriamo, si parte questo movimento di comunione, di condivisione, che è quello che poi Gesù ha voluto tradurre nella cosiddetta “moltiplicazione dei pani” ovvero nella condivisione dei pani e dei pesci. Gli apostoli volevano ricorrere ai soldi: Che fa andiamo a comprare il pane? Chissà quanti soldi ci vogliono … Mettiamo da parte i soldi: il pane e il vino, il pane e i pesci, bastarono per tutti, in abbondanza.
E quindi il mistero dell’Eucarestia, care sorelle e fratelli, ci apre gli occhi su come dovrebbe essere la nostra realtà, nel momento in cui se vogliamo incontrare Dio dobbiamo incontrare il corpo della nostra umanità, anche da sfamare, anche da nutrire, oltre che da curare, da rendere bello. E non c’è niente di dissolubile, nel nostro rapporto con Dio e tra di noi: l’Eucarestia è l’alleanza, il sigillo di questo legame indissolubile tra Dio e noi. 
E allora, prendere e mangiare è il gesto più bello che possiamo compiere e che ci rinvia alla pienezza del dono di Dio verso di noi e alla sollecitazione perché anche noi possiamo essere un pezzo di pane per gli altri, con il nostro lavoro, con la nostra fatica, con la nostra genialità, con tutto quello che noi siamo in grado di riuscire a fare.
E quindi questo mistero è grande, è grandissimo … ma meno male che c’è, perché ci dilata il senso della vita, ce lo illumina, quasi da renderlo abbagliante. Potremmo dire: Ma se fosse così … Magari potesse essere così, esattamente … E’ quello che Gesù ci sta proclamando: Prendete, mangiate, io sono per voi. Ognuno di noi lo dica, ognuno lo faccia, se vogliamo per davvero celebrare l’Eucarestia. 
Se vogliamo celebrarla come un avvenimento parallelo alla nostra vita, allora diventa un fatto devozionale, diventa un’altra cosa, come spesso siamo scivolati a fare. Mentre l’Eucarestia dovrebbe essere il cuore della nostra vita: c’è un momento in cui potreste non dire: Io sono per te, Io sono qui per te, lavoro per te, sono a tuo servizio … Potessimo dirlo in tutti luoghi dove si vive e dove si lavora: a scuola, in ospedale, negli uffici: Io sono qua per te, ti aspettavo … 
Potremmo dire che questa cosa è troppo complicata? No, non è complicata: è solo questione di farsi provocare da questa possibilità che abbiamo sempre rimosso perché è impegnativo coinvolgere il proprio corpo per davvero, la propria vita, gli uni verso gli altri.

 (sintesi dell'omelia pronunciata da don Cosimo Scordato il 29.5.2016, festa del Corpus Domini, nella chiesa di San Francesco Saverio a Palermo)




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