sabato 5 settembre 2015

Aylan e la morte della coscienza europea


Alla nascita e alla morte di un bambino il mondo non è mai pronto.
                                                                         Wislawa Szymborska


Poteva essere il mio nipotino, Aylan: il bimbo siriano di tre anni morto con la madre e il fratellino mentre col papà, unico sopravvissuto, cercavano scampo in Europa.
Aylan
Condivido l’editoriale di Mario Calabresi, scritto su "La Stampa" il 3.9.2015 e le riflessioni di Enaiatollah Akbari, la cui storia di migrante bambino è stata magistralmente raccontata da Fabio Geda nel libro “Nel mare ci sono i coccodrilli” (che ho recensito qui).
(Ringrazio di cuore per questi scritti, che hanno condiviso su FB, i cari amici  Massimo Messina e Claudia Costanzo).

"Si può pubblicare la foto di un bambino morto sulla prima pagina di un giornale? Di un bambino che sembra dormire, come uno dei nostri figli o nipoti? Fino a ieri sera ho sempre pensato di no. Questo giornale ha fatto battaglie perché nella cronaca ci fosse un limite chiaro e invalicabile, dettato dal rispetto degli esseri umani. La mia risposta anche ieri è stata la stessa: «Non la possiamo pubblicare».  Ma per la prima volta non mi sono sentito sollevato, ho sentito invece che nascondervi questa immagine significava girare la testa dall’altra parte, far finta di niente, che qualunque altra scelta era come prenderci in giro, serviva solo a garantirci un altro giorno di tranquilla inconsapevolezza.  
 Così ho cambiato idea: il rispetto per questo bambino, che scappava con i suoi fratelli e i suoi genitori da una guerra che si svolge alle porte di casa nostra, pretende che tutti sappiano. Pretende che ognuno di noi si fermi un momento e sia cosciente di cosa sta accadendo sulle spiagge del mare in cui siamo andati in vacanza. Poi potrete riprendere la vostra vita, magari indignati da questa scelta, ma consapevoli. 
 Li ho incontrati questi bambini siriani, figli di una borghesia che abbandona tutto – case, negozi, terreni - per salvare l’unica cosa che conta. Li ho visti per mano ai loro genitori, che come tutti i papà e le mamme del mondo hanno la preoccupazione di difenderli dalla paura e gli comprano un pupazzo, un cappellino o un pallone prima di salire sul gommone, dopo avergli promesso che non ci saranno più incubi e esplosioni nelle loro notti.  
 Non si può più balbettare, fare le acrobazie tra le nostre paure e i nostri slanci, questa foto farà la Storia come è accaduto ad una bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o a un bambino con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia. E’ l’ultima occasione per vedere se i governanti europei saranno all’altezza della Storia. E l’occasione per ognuno di noi di fare i conti con il senso ultimo dell’esistenza."                                              Mario Calabresi

"Chissà che cosa sarebbe diventato, il piccolo Aylan. Magari un bravo avvocato, o un grande chirurgo. Invece il destino l’ha fatto morire troppo presto, sulle coste della Turchia, dopo esser fuggito assieme ai genitori dal suo Paese e aver abbandonato il suo nido, distrutto dalle bombe. In questi mesi, purtroppo, la sfortuna si accanisce su tanti altri bimbi, che magari non riescono neanche ad avvicinarsi all’Europa, perché falciati prima dalla fame o dalla sete. Altri piccoli, e sono molti di più di quanto non si creda, muoiono al settimo o all’ottavo mese nella pancia di una madre così stremata da non riuscire a portare a termine la gravidanza.
Noi rifugiati siamo gente molto fragile. E tra gli umani apparteniamo alla categoria più debole. Già nel nostro Paese d’origine non abbiamo diritti, e subiamo le peggiori ingiustizie. Imploriamo aiuto al resto del mondo, ma non c’è quasi mai nessuno che ascolti il nostro dolore, nessuno che senta il nostro grido. Lo stesso accade quando siamo all’estero. Che esistono i diritti dell’infanzia e i diritti dell’uomo l’ho scoperto dopo essere approdato in Italia, quando ho cominciato a leggere e studiare. Prima, non me n’ero accorto che c’erano delle leggi internazionali sancite al solo scopo di proteggere l’essere umano, come non se ne accorgono i migranti in viaggio da Siria, Afghanistan o Nigeria. I diritti dell’uomo vengono forse rispettati al di qua del muro europeo, sicuramente non al di fuori. Perciò, per la maggior parte dei profughi sono un concetto molto astratto, di cui non vedono mai l’applicazione e nei quali hanno difficoltà a credere. Ora, senza l’applicazione di questi diritti, che ne è dei principi fondamentali degli Stati che li hanno firmati?
La mia esperienza di guerra, vissuta quando vivevo in Afghanistan, mi ha insegnato che i bambini sono sempre i primi a morire. Ciò accade perché quando si trovano davanti a un campo minato, anche se i genitori li hanno messi in guardia e anche se ci sono dei cartelli che ne indicano il perimetro, loro non sono in grado di valutarne la pericolosità. Ci vanno ugualmente e saltano per aria. Oppure, quando una casa viene bombardata, sono loro i primi a morire, perché i più lenti.
Io ce l’ho fatta, perché sono stato più fortunato di altri, e non più forte di loro. Per riuscire ho attraversato due guerre: quella nel mio Paese, dal quale era difficilissimo e pericolosissimo uscire; e quella per arrivare in Europa, dopo un viaggio interminabile, con pochissimo cibo e pochissima acqua. Lo stesso succede in questi giorni ai profughi che arrivano in Ungheria. Hanno attraversato mari, deserti e montagne, e quando arrivano lì, la prima cosa che trovano è il filo spinato che gli blocca la cammino.
Vorrei solo che i popoli d’Europa capissero perché tanta gente s’ammassa alle sue porte. La maggior parte di chi fugge lo fa perché in patria è perseguitato. Che significa essere perseguitato? Significa che se ti trovano a casa tua, siano essi poliziotti, nemici o islamisti, ti ammazzano. Ho come l’impressione che questo concetto di persecuzione non sia chiaro a tanti. I siriani, per esempio, sono perseguitati dalle falangi dello Stato islamico, che torturano, chiudono le persone nella gabbie e gli danno fuoco, decapitano. 
Enaiatollah Akbari

Ora, le vittime di queste barbarie sono persone come noi, ma che hanno solo avuto la sfortuna di nascere in un Paese in guerra. Sono esseri umani come noi. Sono nostri fratelli, ai quali nessuno dovrebbe sbattere la porta in faccia.

Mi fanno ridere coloro che temono l’arrivo di terroristi, travestiti da profughi. Infatti, tra i migranti siriani non ci sono uomini dello Stato islamico, né tra quelli afgani dei Taliban o tra i nigeriani dei guerriglieri di Boko Haram. 
Oggi ho 27 anni, e studio Scienze politiche e cooperazione all’Università di Torino. Sono pronto a qualsiasi lavoro mi verrà offerto, ma il mio sogno è di lavorare per le Nazioni Unite. Per poter al più presto aiutare le persone che stanno vivendo adesso l’odissea che fu la mia."                                                                                                                                    Enaiatollah Akbari


6 commenti:

  1. Mezzi di informazione o fabbriche di crocifissi? Di quante altre icone, attestanti il trionfo del male sul Bene, abbiamo ancora bisogno? E soprattutto, siamo sicuri che mostrare la foto di una vittima al suo carnefice possa ispirargli compassione, o non rischiamo piuttosto che questi si gongoli ancor più delle sue malefatte?

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  2. @Caro DOC, il tuo commento mi fa pensare. Giusto o sbagliato pubblicare la foto di Aylan morto? Non lo so. Giusto se riesce a intenerire il cuore anche a una sola persona. Sbagliato se è la solita operazione di sciacallaggio. Ho pubblicato la foto perchè ho condiviso le riflessioni di Mario Calabresi, direttore de "La Stampa", che reputo persona seria, al di sopra di ogni sospetto. La bambina vietnamita che soffriva per la bomba al napalm ha contribuito a rendere indigeribile all'opinione pubblica mondiale la guerra in Vietnam. L'incertezza resta. Grazie per il tuo schietto commento. Un abbraccio,

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  3. Sono completamente d'accordo con Calabresi. Sembra che dopo la pubblicazione di quella terribile foto qualcosa si sia mosso, nell'opinione pubblica e nei governi. Bisognava arrivare a questo? Evidentemente sì, ma se può servire a salvare qualcun altro, allora è giusto pubblicarla.
    E grazie per aver condiviso le parole di Enaiatollah Akbari, ho amato moltissimo il libro che ha scritto insieme a Fabio Geda. Credo che andrebbe proposto in tutte le scuole.

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  4. @Silvia Pareschi: grazie davvero per l'apprezzamento. "Nel mare ci sono i coccodrilli" è stata la lettura estiva che ho consigliato ai miei ragazzini di seconda media. Il problema della foto è se innesca una spirale negativa di voyeurismo necrofilo. Speriamo di no. Buona domenica. Oggi rilassati.

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    1. No, secondo me no. Forse in qualcuno, ma credo che l'analogia con l'effetto ottenuto dalla foto della bambina vietnamita sia molto azzeccato.

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  5. Enaiatollah Akbari dice: " … perché sono stato più fortunato di altri, e non più forte di loro. Per riuscire ho attraversato due guerre: quella nel mio Paese, dal quale era difficilissimo e pericolosissimo uscire; e quella per arrivare in Europa, dopo un viaggio interminabile, con pochissimo cibo e pochissima acqua. Lo stesso succede in questi giorni ai profughi che arrivano in Ungheria. Hanno attraversato mari, deserti e montagne, e quando arrivano lì, la prima cosa che trovano è il filo spinato che gli blocca la cammino." Che cosa tremenda, eh? Mi viene davvero da piangere, sentirsi rifiutati da coloro dai quali cercavi salvezza. Per fortuna, appunto, pare che qualcosa sia cambiato per il momento. Questi eventi sono talmente grandi che è IMPOSSIBILE far finta di nulla o continuare a rimpallarsi numeri di accoglienza. Ho sempre pensato che in attesa di fermare guerre e mostruosità fuori dai nostri confini, all'interno dei nostri Stati la presenza di queste persone possa rappresentare un'opportunità grande anche di lavoro, di lavoro pulito, magari, solidale e ben fatto. Ho anche pensato che per noi in Italia sia venuto il momento di capire come, affidare denaro (tanto) a cooperative o enti privati vari, incapaci di gestirlo e capaci di rubarlo, sia una follia. Io credo sia lo Stato a doversi far carico anche della gestione dell'intero problema, formando persone capaci di affrontare tutte le problematiche legate ad esso. Altro che gestire emergenze trovando improbabili ed improvvisate soluzioni!

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