sabato 30 agosto 2014

Se ... lfie

Se riuscirai a non perdere la testa quando tuo figlio e suo padre litigano di santa ragione, dandone all’altro la colpa;
Se riuscirai ad aver fede in te quando hai a cena sette persone, quando pensavi di averne solo due;
Se riuscirai  a tirare su la cerniera del vestito senza chiedere aiuto a nessuno e senza stancarti di provare e riprovare;
Se riuscirai ad affrontare con successo un viaggio in treno da sola, accettando con animo tranquillo l’insuccesso di sistemare in alto il bagaglio;
Se riuscirai a sognare di diventare giornalista senza che il sogno sia il padrone; se riuscirai a pensare mentre friggi le zucchine senza che friggere sia il tuo scopo;
Se riuscirai  ad ascoltare le piante, i cani e le gattine e parlerai poco con gli esseri umani;
Se riuscirai a veder crollare le cose per cui dai la vita e a chinarti per rimetterle insieme riciclando dei cocci;
Se riuscirai ad ammucchiare tutte le tue magliette e a decidere in un sol colpo quali dar via;
Se riuscirai a costringere cuore, nervi e muscoli, benché sfiniti da un pezzo, a portare quattro sacchi della spesa, e a tener duro quando niente più resta in te tranne la volontà che ingiunge: tieni duro!;
Se riuscirai a parlare agli alunni serbando le tue virtù, o a passeggiar con il Preside e a non perdere il tuo fare ordinario; 
Se né zie né figli riusciranno a infastidirti, anche se tutti contano su di te, e forse un pò troppo;
Se riuscirai a riempire l'attimo inesorabile, la mattina prima di andare al lavoro, e a dar valore ad ognuno dei suoi sessanta secondi, la lavatrice sarà tua allora, con quanto contiene, e - quel che è più - tu sarai una vera donna, Maruzza mia!

mercoledì 27 agosto 2014

Diario di bordo: Francesco, bambino del III millennio

(Un abbraccio a lettrici e lettori. Riprendo a scrivere sul blog riproponendo un mio "pezzo" del 1999, pubblicato nella rivista "Segno" n.203/4, marzo/aprile 1999.
Ovviamente lo scritto è "datato". Ma lo sento profondamente mio, in sintonia purtroppo con i massacri e le assurde "sante" che gli eserciti di ogni latitudine si ostinano ancora a combattere).

Mio figlio Ricky, a tre anni.






"Acetonemia al massimo. Il bambino va ricoverato immediatamente ..."
Corsa per prendere il pigiamino, urla di terrore di Ricky alla vista dell'ago, lenta altalena tra vomito e speranza di star bene.
Reparto medicina, 4°piano, sala n.2: in otto metri per quattro, 5 letti con 5 piccoli ammalati e 5 madri. 
Microcosmo nascosto di piccole grandi storie. 






LA BAMBINA DI PORCELLANA

Signora, nella stanza c'è un'aria irrespirabile: bisogna aprire la finestra!"
"Infermiera, non so se si rende conto che mia figlia ha avuto la polmonite: la corrente le fa male..."
"Ma signora! Questa non è corrente: è aria rinnovata che fa bene anche a sua figlia!"
"Mi sento soffocare - bisbigliava a mezza voce una madre - tentando di far penetrare, non vista, un pò d'aria. Ma lei, tono duro e perentorio e sguardo tagliente: "Badi che mia figlia ha avuto la polmonite" e si precipitava inflessibile a chiudere lo spiraglio.
Sprezzante e sicura, forte della sua evidente superiorità sociale, sopportava a denti stretti la promiscuità della stanza d'ospedale. Spargeva disinfettante dovunque, inorridita dall'eventualità di un qualche contagio.
"Due pediatri non sono stati in grado di diagnosticare a mia figlia la polmonite...ma io ho capito che non si trattava di una semplice influenza...Dai, mettiti sotto le lenzuola che c'è corrente...."Mamma, ma sto sudando..."Ma no, dai, copriti, hai avuto la polmonite, non puoi prendere freddo..."
L'ansia appena contenuta, la cultura ostentata e la ferrea determinazione della Signora asfissiavano la piccola stanza.E forse levavano l'aria anche alla sua piccola, che, ogni tanto, la guardava fisso fisso con i suoi grandi occhi neri.

"Mamma, mi sento lunghe le unghie dei piedi, me le tagli?"
"Si, certo, prendo le forbicine".
Mentre eseguivo l'operazione, sentivo su di me lo sguardo inquieto e disapprovante della Madre di Bambina di Porcellana e mi chiedevo cosa potesse darle fastidio: forse temeva che qualche porzione di unghiette tagliate, sfuggita al contenitore preparato per accoglierle, potesse sporcare la stanza.
Ma ero fuori strada. 

"Signora, ha un bel coraggio a tagliare le unghie a suo figlio!..."
"Perchè, scusi?"
"Non sa che dicono porti male tagliarle in ospedale? Anche mia figlia le ha lunghe, ma gliele taglierò a casa..." La guardo, stupita, terminando lentamente di tagliare l'ultima unghietta, e tento di scrollarmi in fretta il disagio per non aver rispettato la sconosciuta diceria.
Ma poi sorrido: nemmeno la lettura di 1.000 enciclopedie mediche può illuminare il lato oscuro della mente...

L'indomani Bambina di Porcellana è dimessa: respira e reggiti forte, bambina.
E tira fuori al più presto i tuoi artigli. 


MADRI PER SEMPRE

Giovanni, 4 mesi, ricoverato per accertamenti.
Un sondino dovrebbe rivelare il motivo dei continui rigurgiti. Nonostante il fastidioso tubicino, Giovanni è un bambino solare: col suo splendido sorriso e i suoi vocalizzi comunica una grande gioia di vivere.
Non avrà più di 25 anni la madre di Giovanni.
Ma le spalle precocemente incurvate, gli occhiali fuori moda, il vestire dimesso, la pettinatura approssimata la collocano in quella nicchia senza tempo di donne del Sud che da sempre hanno un solo scopo nella vita: prendersi cura della famiglia.
La madre di Giovanni ha ridotto al minimo i suoi bisogni essenziali: mangiare, quando può e quello che passano, andare in bagno e, ogni tanto, lasciarsi andare a qualche commento sulle manie della madre di Bambina di Porcellana.
Per il resto c'è solo per Giovanni.
Di Giovanni capta ogni respiro: indovina sempre se ha fame, se ha sonno, se ha mal di pancia, se vuole solo essere preso in braccio.
Riesce a consolare serena il suo pianto dovuto all'ingombrante tubicino.
Con la stessa cura accudisce il marito: un metro e ottanta di uomo venuto dal paese lontano per darle una mano.
Gli dice che deve mangiare, che deve dormire, gli lava i calzini, lo nasconde in bagno la notte, attenta alle sortite notturne delle infermiere.
"Teni 'a cutri, ca dda dintra c'è friddu."
La madre del Sud riesce a mettermi in crisi: sarà forse la sua abnegazione a far sorridere sempre Giovanni-col-sondino? 


FRANCESCO, BAMBINO DEL III MILLENNIO

Occhi inespressivi, non sai se da pazza o da scema, capelli ingarbugliati di colore indefinibile, viso ossuto e irregolare. Sembra la sorella giovane della strega di Biancaneve.
Non mangia per due giorni; di notte la senti poi sgranocchiare fette biscottate, la guardi e vedi che le intinge in una vaschetta di plastica con simil nutella.
A volte ridacchia e parlotta tra sè.
"Signora, non ha fame?" "A che ora ha mangiato suo figlio?"
"Può chiudere la porta?"
Ma lei non risponde a nessuno, madri, parenti o infermiere che siano.
E la mamma di Francesco diventa subito una leggenda del Padiglione Maggiore: "E' pazza!...Deve essere una zingara, l'ho vista con una che aveva la gonna lunga...Ha un uomo che viene a trovarla, che sia il marito?... Sembra più normale...Non mangia...Non si lava...Che puzza! E quel bambino...'U fa mangiari quannu ci dici 'a testa...Ma che beddu ddu picciriddu! Poviru nuccenti...
Francesco, splendido bambino di quasi 5 mesi, sorride sempre: quando lo visitano, quando gli danno l'antibiotico, quando mangia, quando è digiuno da 11 ore, quando è sporco, quando lo guardi, quando la madre gli da' un bacio con lo scroscio.

La verità si intravede al terzo giorno. 
Un'infermiera chiede:"A che ora ha mangiato Francesco stamattina?" 
Madre di Francesco:"Chissacciu" - Non lo so
Infermiera: "Ma come signora, il bambino deve mangiare agli orari stabiliti...deve fare sei poppate...
La madre di Francesco sta zitta e la guarda con occhi dolenti e sconfitti. L'infermiera intuisce qualcosa, prende un foglio e trascrive l'orario canonico delle sei poppate:
6...9,30...12.00...15,30......"Vedi, questi sono gli orari...
La madre di Francesco mormora piano, con gli occhi spenti:"Unnu capisciu... - Non capisco
"Non sai leggere...neanche i numeri..."- "Nzu - no" 
"Ma non hai un orologio?" - "Nzu" -.
L'infermiera, smarrita, la guarda trasecolata, poi guarda le altre madri e bisbiglia:"Povero bambino"... 
La verità su Francesco e sua madre emerge drammatica dalla compilazione della cartella clinica:
Dottoressa: "Quanti anni ha?"
Madre di Francesco: "32"
Dottoressa: "Quante gravidanze ha avuto?"
Madre di Francesco: silenzio interrogativo
Dottoressa:"Quanti figli appi vivi?"
Madre di Francesco: "Cinqu"
Dottoressa:"Appi figli morti prima du tempu?"
Madre di Francesco:"Dui"
Dottoressa:"Mi dice l'età dei suoi figli?"
La madre di Francesco la guarda con uno sguardo triste e scuote la testa. La dottoressa traduce ancora:"Quant'anni annu i so figghi?"
"A fimmina 17, l'atra fimmina 14, poi... - sembra confondersi, riprende: "U nicu avi nov'anni...

Mercoledi 24 marzo, TG ore 20: dalla Tv accesa nella stanza accanto sento che è scoppiata la guerra.
A Ricky l'acetone è passato: ma io sono assalita da un enorme senso di nausea.
In corridoio in quattro letti sono accampati da due giorni quattro bambini con quattro madri: tra essi un piccolo diabetico.
Le sue braccia aperte, offerte a due flebo diverse, lo fanno un piccolo Cristo che soffre in anticipo il suo venerdì santo. La madre, l'Addolorata di turno, guarda con occhi rossi il monitor che segna crudele 500 di tasso glicemico.
Intanto i proclami dei generali Nato giustificano la violenza assurda della guerra e mandano bombe intelligenti nel Kossovo.
Qui si combatte una guerra diversa: medici, madri e bambini lottano contro il dolore, la solitudine della sofferenza, la paura senza volto, il pianto di Giuseppe che non potrà più giocare a calcetto e mangiare i dolci e l'angoscia della madre di Noemi che non sa cosa significhi la strana macchia che sua figlia ha sul fegato...
C'è il senso di un'alterità irriducibile tra la guerra degli uomini e questa combattuta da madri e bambini.
Ma questa, qui in ospedale, è l'unica guerra che noi madri vogliamo combattere.


L'indomani Ricki e io ce ne andiamo. 
Saluto la madre di Francesco: lei non risponde, e mi pare di leggere nei suoi occhi un che di rancore e di dispiacere per la nostra partenza.
Tu rimani, Francesco: anche se domani daranno un qualche nome al tuo male temo che nessuno potrà curarti.
La tua malattia ha nomi antichi: si chiama miseria e ignoranza e di essa soffrono tua madre, tuo padre, i tuoi quattro fratelli, quell'angolo sperduto di Sicilia dove sei nato e innumerevoli pezzi di mondo.
Ma tu continui meravigliosamente a sorridere. Auguri, Francesco, bambino del III millennio.

domenica 10 agosto 2014

Dalla mafia liberaci, o Signore

(Care lettrici/cari lettori: con questa recensione vi auguro Buon Ferragosto: tornerò a scrivere dopo il 18 agosto. Un abbraccio a tutte/i)

Nel saggio Dalla mafia liberaci o Signore (Di Girolamo, Trapani,  2014, € 15,00) - titolo suggestivo che rievoca una bella canzone di Francesco Guccini e l’antica preghiera della Chiesa: “A peste, fame et bello libera nos, Domine” (“Liberaci, o Signore, dalla peste, dalla fame e dalla guerra”) - il teologo don Cosimo Scordato ci offre riflessioni esaustive sul rapporto complesso tra Chiesa e mafia, affrontando in modo chiaro e organico la questione. Il teologo riconosce che la mafia è un vero e proprio problema ecclesiale perché essa si è sviluppata in terra cristiana; fa la diagnosi degli equivoci che ne hanno accompagnato lo sviluppo; indica la terapia: una ecclesiologia e una pastorale autenticamente evangeliche, perché “Non ci può essere più posto per un boss (…); non c’è posto per rapporti violenti dove la croce e l’autodonazione sono il criterio della vita”.
L’autore afferma innanzitutto che la Chiesa siciliana non ha riconosciuto in tempo la reale consistenza e la pericolosità della mafia: Scordato infatti fa sua la tesi del prof. Savagnone, secondo il quale la fase della presa di distanza e della denunzia profetica seguono, all’interno della Chiesa,  quelle iniziali caratterizzate talvolta della compromissione diretta prima e dalla coabitazione poi, quando“la Chiesa sosteneva politicamente la DC, non rendendosi conto delle connivenze del partito con la mafia"; convinta “che l’unico nemico da abbattere fosse il comunismo”.  A tal proposito, il testo ricorda l’equivoco clamoroso (di contro alla contestuale e ferma presa di posizione del pastore valdese Panascia) con cui nel 1964 il cardinale Ruffini si approcciava al fenomeno mafioso, indicato in una lettera pastorale come male della Sicilia, insieme a Danilo Dolci e al romanzo Il Gattopardo … Il teologo Scordato riconosce che “La mafia ha manipolato e deviato i valori e strumentalizzato la devozione cristiana: la famiglia ha finito col coincidere col familismo, l’onore con l’omertà e la religione è stata ridotta ad un rituale di accettazione sociale, che prescinde da qualsiasi rapporto don Dio e col Vangelo di Gesù”. E aggiunge che una prassi sacramentale legata all’accaparramento della salvezza, anziché a gesti profetici che lasciano intravedere la novità di un mondo chiamato alla riconciliazione, può spiegare la frequentazione di vari mafiosi ai sacramenti e la loro dichiarazione di appartenenza alla Chiesa.

Il testo, la cui lettura, a mio avviso, dovrebbe essere “obbligatoria” per ogni credente e consigliata per i “diversamente credenti”,  si caratterizza poi per una ricca “pars costruens”: Scordato indica infatti in modo netto e preciso le caratteristiche di una Chiesa “antimafia”: è necessario abbandonare “quelle forme della potestas ecclesiastica che insinuano nella Chiesa rapporti unidirezionali di dominio;”è necessaria “la rinunzia ad una presenza forte nella società, la scelta della povertà e dei poveri, la pratica di una comunicazione  non-violenta e creativa nelle dinamiche ecclesiali, e soprattutto l’avvio di una prassi sacramentale espressiva della tenerezza divina e umana. Bisogna altresì costruire“una Chiesa democratica, che promuove la libertà responsabile dei suoi figli; (…) urge che la comunità cristiana eserciti il suo fascino nella coscienza del credente (e non) … delineando un mondo diverso, ispirato dalla bellezza dell’amore misericordioso di Dio”. 
don Cosimo Scordato

L’autore ribadisce inoltre l’assoluta necessità ecclesiale di assumere come luogo teologico anche lo spazio-tempo in cui si vive: “o una Chiesa si realizza in quel luogo, secondo le modalità storico-geografiche del suo esserci comunitario, o essa viene compromessa nella sua ecclesialità”. Il territorio diviene allora il “luogo teologico” per eccellenza:  visto che sia la mafia che la parrocchia occupano il territorio, la concretezza pastorale della Chiesa locale diviene il vero banco di prova per un’autentica testimonianza. Davvero illuminanti in tal senso, infine, le pagine dedicate al beato don Puglisi: il teologo si chiede “Come mai l’annunzio del Vangelo da parte di un prete nell’abito della sua parrocchia può comportare anche il rischio di venire uccisi a causa della propria fede?” Perché don Pino, attraverso il rinnovamento della pastorale parrocchiale (emancipazione della religiosità  da presenze ambigue; messa in crisi della situazione di prevaricazione e di illegalità che compromettevano l’evangelizzazione; creazione di un centro sociale per rispondere ai bisogni di promozione umana del quartiere) ha sottratto ai mafiosi il controllo del territorio: “il territorio parrocchiale a Brancaccio è diventato banco di prova per la testimonianza della fede evangelica di don Pino (…) in direzione del servizio, della dignità e della libertà … rendendo inutile la presenza di un padrino”.                                           Maria D’Asaro (“Centonove” n.31 dell’8.8.2014)

sabato 9 agosto 2014

Movida a Vergine Maria

La Tonnara ,Vergine Maria, Palermo
Il dilemma etico - dove finisce la mia libertà e dove inizia quella degli altri?  - ha sempre risvolti concreti. Ad esempio: come si accorda la voglia notturna di (s)ballo e musica ad alto volume di alcuni con il diritto di altri a dormire? A nord di Roma hanno trovato una soluzione: le discoteche attive sino a notte fonda sono a vari chilometri dai centri abitati, garantendo così il divertimento degli uni e il sonno degli altri. A Palermo invece, nel quartiere Vergine Maria, all’interno della vecchia tonnara, c’è una discoteca che in estate, nel fine settimana, costringe gli abitanti della zona a dormire solo dopo le tre di notte, quando la musica è finita. Scrivevo che a Grosseto i titolari di un bar sono stati multati perché animavano con musica una cena/aperitivo alle 20.30 di sera. Davvero c’è un Italia a due diverse … tolleranze di intensità di decibel!
                                                    Maria D’Asaro (“Centonove” n. 31 dell’8.8.2014)

sabato 2 agosto 2014

Cavalieri del lavoro

In estate, a Palermo c’è molto caldo. Così in questo periodo, per quattro operai, è stato duro lavorare nella vasta superficie del tetto del palazzo di fronte al mio. Per una ventina di giorni, dalle 7 sino alle 17, i quattro hanno faticato sotto il sole per dare al tetto un’adeguata impermeabilizzazione. Gli operai hanno trovato comunque un modo per rendere meno alienante il lavoro: ascoltare musica. Infatti, la catramatura del tetto è stata alleviata dall’ascolto di canzoni napoletane, le cui note erano diffuse da un potente apparecchio. Certo, per palati musicali raffinati, le canzoni di Nino D’Angelo e Gigi D’Alessio non sono il massimo. Ma ai quattro che hanno portato avanti a suon di musica e con solerzia il tanto sudato lavoro va un omaggio sincero. Sono loro, e i tanti come loro che lavorano ogni giorno con onestà e fatica, che meritano il titolo di “cavalieri del lavoro”. 
                                                          Maria D’Asaro (“Centonove” n. 30 dell’1.8.2014)