venerdì 23 maggio 2014

23 maggio 1992

Falcone, la moglie, V. Schifani, A. Montinaro, R. Dicillo
L’impatto emozionale della strage di Capaci è stato enorme: ogni palermitano adulto ricorda dov’era il pomeriggio del 23 maggio 1992, il tragico sabato della morte del giudice Falcone, di sua moglie Francesca e dei tre uomini della scorta. Difficile dire quanto sia cambiato nella sostanza, ventidue anni dopo, l’atteggiamento della maggior parte dei siciliani verso Cosa Nostra. Quanto l’antimafia delle emozioni e delle parole sia stata seguita dall’antimafia delle coscienze, dei comportamenti e dei gesti concreti. Domenica scorsa, un mio parente ripeteva ancora la solita trita litania della mafia che “rispetta” donne, bambini e uomini di Chiesa. Qualche anno fa, lo studioso Umberto Santino, nell’ottimo saggio “Storia del movimento antimafia”, ci ricordava che, per un’efficace lotta alla mafia, è necessario coniugare interessi e valori. Purtroppo questo percorso di liberazione è ancora arduo e difficile. Ma ci tocca percorrerlo tutto, perché Giovanni, Francesca, Antonio, Rocco e Vito non siano morti invano.
                                            Maria D’Asaro (“Centonove” n. 20 del 23.5.2014)

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