martedì 29 ottobre 2013

Diario minimo, alla ricerca dei bimbi sperduti



     Neppure il tempo di posare la borsa e: – Professoressa, questo ragazzino non vuole entrare in classe, non posso tenerlo in corridoio – sbuffa la bidella del primo piano. Il ragazzino è uno scricciolo di prima media, tutto occhi e muscoli asciutti e nervosi. La psicodituttounpò lo riconosce. Già segnalato dalla scuola primaria per una tragica storia: orfano di padre, ultimo di tre figli, madre poco presente, Tribunale di mezzo. 
– Il ragazzo è con me, lo comunichi all’insegnante di classe. – Allora, Marcello … – Il ragazzino guarda la prof. e replica con tono basso e piglio sicuro: - Io mi chiamo Federico – Già, è vero – si scusa la psicodituttoediniente – Sbagliane un’altra e hai chiuso – borbotta tra sé. –  Sediamoci, Federico: allora,  che stavano facendo in classe i tuoi compagni? - C’era il professore di Arte …  –  E tu l’album ce l’hai? -  No, ma ho questi quaderni.
     Estrae dallo zaino con cura e baldanza tre quaderni a quadri piuttosto malconci. L’album non c’è. Mezzo album a fogli lisci dorme da tempo in uno scaffale dell’armadio grigio, rammenta la psico-psico. Apre l’armadio, sveglia l’album e lo consegna a Federico: - Questo te lo regala la scuola. – Federico ringrazia con gli occhi. - Che materia hai a seconda ora? – Smarrimento nello sguardo del ragazzino. – La psico-psico per i bambini sperduti finalmente capisce. – Federico, ce l’hai il diario? – Federico annuisce. – Puoi tirarlo fuori dallo zaino? – Adesso il diario è sulla scrivania e lei lo apre: mai visto un diario così immacolato. Chiede permesso al ragazzino e comincia a sfogliarlo: orario provvisorio, orario definitivo, tutto bianco … - Leggi, Federico: - Orario provvisorio – L’alunno scandisce benino le sillabe. - Sai che vuol dire? – No. – Che può cambiare. – Orario definitivo: che è già stato deciso, che rimane così … - Federico è perplesso. –Ti piace il calcio? – Sì – Quando l’allenatore non ha ancora deciso chi farà giocare in squadra, vuol dire che la formazione è provvisoria. Quando decide chi scenderà in campo, la formazione è definitiva. Siccome ormai sappiamo quali insegnanti avrai, allora l’orario è definitivo e possiamo scriverlo. -
    Federico capisce. La psico-psico gli spiega che ogni riquadro corrisponde a un’ora di lezione: - Ora c’è Arte, tra poco andremo in classe con album e colori, poi ci sarà Matematica. – Scrivono insieme Matematica nel riquadro. E poi Scienze. Federico è contento: - Il libro di Scienze ce l’ho. Ho altri due libri a casa: quello di Storia e uno di Italiano. – Molto bene: cominciamo da tre. - Scriviamo l’orario di domani. – aggiunge la prof. - Ma io domani non vengo perché ho una visita medica. – Ok: scriviamo quello di giovedì: prima ora, Inglese. Ce l’hai il quaderno? – Sì – Il libro? – No. – Certo, l’aveva già detto: ne ha solo tre. – Ma lo scricciolo dice con fierezza  che sa contare in inglese sino a dieci one two three four five … La psico-psico estrae dal’armadio anche il libro di Inglese. Avanti con l’orario: il ragazzino non sa se avrà Storia o Geografia, giovedì a quinta ora. Si va a chiedere notizie direttamente all’insegnante, che gli fa scrivere Geografia.
   E’ il momento di farlo entrare il classe: - Qui c’è Federico. L’album liscio va bene? – Va bene. La prossima volta ci sarà un albero da disegnare.
   Prima classe a sinistra del primo piano. Dovrà fare visita spesso a Federico, la psico-psico: fargli sentire che può ancora farcela. Accarezzarlo con la voce e con gli occhi. Fargli sentire che la scuola non è un nuovo mostro pronto a sbranarlo, ma un posto dove può stare bene e imparare qualcosa. 
Six seven eight nine ten.

sabato 26 ottobre 2013

Elisir di lunga vita


  
Sarina Ingrassia
 Molti palermitani conoscono Sarina Ingrassia, un’insegnante che a Monreale ha speso la sua vita per aiutare i ragazzi in difficoltà, fornendo loro accoglienza, aiuto materiale e soprattutto  possibilità di studiare. Lo scorso settembre Sarina ha festeggiato 90 anni.  Ieri una mia zia, lucida e attiva, di anni ne ha compiuto 94. Zia Lillia è impegnata in prima linea nella parrocchia di sant’Antonino, vicino alla Stazione Centrale. È fan sfegatata di papa Francesco. La sua, come quella di Sarina, è una fede impegnata, per nulla retriva e bigotta. 
Zia Lillia


La zia ama le cose belle: si commuove per un tramonto o per una bella canzone, ama la natura e i viaggi, mangia con gusto. Chissà se l’elisir di lunga vita non passi anche per la cruna di uno stile di vita sobrio e sereno, illuminato da un  ideale positivo. Uno stile di vita che faccia danzare in armonia corpo, mente e anima.

                                         Maria D’Asaro  
         (“Centonove”, n.40 del 25.10.2013)

giovedì 24 ottobre 2013

Cose che nessuno sa ...

    Con i libri è come con le persone: deve essere amore, o almeno simpatia, a prima vista. Tra me e le prime pagine di Cose che nessuno sa, di Alessandro D’Avenia (Mondadori, Milano, 2013, € 13.00), purtroppo il colpo di fulmine non c’è stato. C’è stata anzi la tentazione di avvalermi di uno dei diritti del lettore, secondo Pennac: quello di abbandonare la lettura. 
Poi, come accade anche nelle relazioni umane non esaltanti, un po’per senso del dovere, un po’ perché qualcosa di positivo c’è sempre e comunque, la lettura/relazione è stata portata avanti. E del romanzo sono stati colti anche i pregi, che compensano tre evidenti difetti. Primo: il presenzialismo dell’autore. D’Avenia non riesce a nascondersi nei personaggi che, a tratti, risultano quasi burattini al servizio della sua weltanschauung: Giulio e Margherita, i protagonisti della storia, non mi pare abbiano un’evoluzione psicologica reale e credibile. Il primo si trasforma quasi magicamente da bullo solo e triste a innamorato (quasi) maturo e romantico; la seconda, da adolescente informe a eroina coraggiosa. Anche gli altri personaggi sono piuttosto statici e sembrano rispondere più a stilemi etici che a figure reali: nonna Teresa, la madre di Marta e Stella incarnano la saggezza, il buon senso, la disponibilità verso il prossimo e la capacità di amare. Donne senza ombre, un po’ troppo perfette per essere vere. Anche per la sovrabbondanza di queste figure positive, il romanzo - ecco il secondo limite – a tratti risulta zuccheroso e melenso e rischia di provocare un coma da iperglicemia nel lettore.  A cui – terza pecca - risulta indigesto anche lo stile, spesso appesantito dall’uso triadico degli aggettivi, infarcito di citazioni letterarie  più o meno scoperte e pieno di notazioni psicologiche a buon mercato, non sempre ben amalgamate alla trama.  
   Non renderei però giustizia al libro se non ne elencassi anche i pregi: la staticità narrativa, che a mio avviso caratterizza inizialmente il romanzo, ha una netta inversione di rotta da pag. 151: tutto il capitolo ottavo è ben confezionato,  assai delicato e godibile è l’ordito dei dialoghi ivi presenti. A partire da lì, il seguito del libro non difetta di azione e colpi di scena. Bisogna poi sottolineare che nel romanzo non mancano  riflessioni molto belle e pagine di pura poesia: “La mattina intanto era esplosa come un soffione investito dai desideri di un bambino e si disperdeva in ogni angolo della città”; “Ogni città ha il suo genio, la devi strusciare contro, toccare i muri, annusare le strade, ascoltare i nomi delle vie e delle persone”. 
    E nel libro c’è nonna Teresa che, accidenti, è la nonna che tutti avremmo voluto avere. Sebbene personaggio tutto di un pezzo, nonna Teresa ti affascina e cattura: perché è intelligente, è saggia, perché parla in dialetto siciliano, la lingua della mia anima. Perché dice alla nipote Margherita e a ognuno  di noi delle verità stupende sull’amore: “Gioia mia. L’amore è fatto di carne. L’uomo desidera la donna e la risveglia: lei si sente voluta, amata. Quando un uomo tocca una donna ci tocca l’anima. Non tutti gli uomini arrivano a sentire l’anima sotto le dita, alcuni 'vastasi' si fermano alla scorza. Una carezza sulla pelle di una donna è capace di allisciarci l’anima, uno schiaffo di frantumarla … E poi dall’ombelico parte quel filo a cui è legata la vita, quella corda non si rompe mai … e un uomo ci si aggrappa sempre.” E ancora: “Gioia mia, quello che so è che cerchiamo la vita. Il nostro respiro non ci basta e vogliamo il respiro di un altro. Vogliamo respirare di più, vogliamo tutto il fiato di tutta la vita. Nella mia terra le persone che ami le chiami ciatu mio: respiro mio. Si dice che la persona giusta è quella che respira allo stesso ritmo tuo. Così ci si può baciare e fare un respiro più grande … ”.
   Allora, alla fine, un grazie comunque al prof. D’Avenia, conterraneo e collega. Arrivata all’ultima pagina, sono stata contenta di non essermi avvalsa del terzo diritto del lettore. Infatti il romanzo qualcosa di bello e di utile me lo ha trasmesso. E a me, manzoniana di ferro, sta bene che l'autore sposi un’affermazione cara al grande Alessandro, mostrando così di condividerne, oltre al nome, anche la visione del mondo: “Questa è l’unica regola di Dio: che tutto ciò che accade, bello o brutto che sia, generi un amore più grande, ma questo sta a noi sceglierlo”.

    Maria D’Asaro (tranne l'ultimo capoverso, pubblicata su "Centonove" n.42 dell’8.11.2013)

sabato 19 ottobre 2013

I nonni in Romania

   
Li chiamano gli orfani bianchi: sono i minori lasciati con i nonni nei paesi di origine perché i genitori vanno a lavorare all’estero. La Romania è lo stato europeo che ne vanta il triste primato: si contano oltre 350 mila bambini costretti a vivere senza papà o mamma, o addirittura senza entrambi, perché emigrati per necessità, per lo più in Spagna e in Italia. Chi, a Palermo, non conosce una colf o badante romena, alzi la mano. E’ davvero crudele e ingiusto che una povera donna romena, per mantenere la sua famiglia, sia costretta a lasciarla per anni e trovarsi ad accudire, lontano da casa, una vecchietta quasi abbandonata da figli e nipoti. Allora, una provocazione: non sarebbe più onesto mandare in Romania le zie e i nonni che non andiamo a trovare neppure la domenica, anziché costringere, per necessità, mamme e papà romeni alla sofferta separazione dai loro figlioli?
                                                         Maria D’Asaro (“Centonove”, n.39 del 18.10.2013)

mercoledì 16 ottobre 2013

Quando sei Mari non puoi più nasconderti …


    La tentazione era forte. Tirare i remi in barca, abdicare. Rifugiarsi nell’isola che non c’è, non combattere più. Da ventisette anni in servizio nel ruolo di madre, da trentacinque come lavoratrice, nostra Signora voleva collocarsi a riposo d’ufficio. O almeno lavorare part-time.  - Ce l’hai con me? – le aveva chiesto una cara collega – Perché? – Prima  sorridevi di più … -
    Come faceva a spiegarlo. Alla cara collega. Ai figlioli esigenti. Alla zia un poco svanita. Al piccolo mondo che le ruotava davanti. Che lei faceva fatica. A sorridere sempre, a dare a tutti speranza e coraggio. Perché a volte anche lei aveva pensieri di piombo. Era duro volare con certe zavorre. Però alle colleghe il suo sorriso mancava. E i suoi figli volevano solo allegria, anche con le lenticchie bruciate. Era la volta di prenderle davvero sul serio le belle parole di Cosimo. 
      Era la volta di andare a braccetto con Fede e Speranza, luminose compagne di strada.

lunedì 14 ottobre 2013

Amare, Vivere è …

           (a mio avviso, due splendide riflessioni del prof.Salonia, dal blog Gestalt Therapy)

    Amare significa ‘consegnarsi’ all’altro: donare se stesso, la propria vita, la propria realtà più intima. La paura di perdersi, di non potersi più riprendere, di essere rifiutato, di restare svuotato sono alcuni ostacoli che ci bloccano nel darci all’altro. Caratteristica del darsi è proprio il lasciarsi andare, l’accettare il sostegno che l’altro ci dà, potersi sperimentare nella propria debolezza e vulnerabilità, nella propria paura e nelle proprie ombre. Se tratteniamo molte cose di noi, se ci difendiamo non aprendoci totalmente ci sentiamo soli e ci chiudiamo alla gioia dell’amore. Consegnarsi all’altro è rischio da correre; ed è un passo che sempre rimandiamo. Quante volte ci affanniamo a ricercare i limiti dell’altro come per giustificare la nostra titubanza, la nostra paura a compiere il salto nel buio, condizione ineliminabile di ogni amore totale e verace.

     Per vivere in pienezza bisogna mettere nel preventivo difficoltà e ostacoli dentro e attorno a noi; il che comporta anche la saggezza del vivere il qui-e-adesso della nostra vita. Per essere vivi bisogna accettare la morte. Evitare di intristirsi al pensiero della morte è ridurre ogni paura della vita con la sottile oscura paura della fine. L’uomo consapevole sa che solo accettando la morte potrà scendere nella profondità della vita.
    E chi si sente vivo, ama la vita. La passione per la vita comporta l’amore alla vita in quanto tale. Chi ama la vita ama ogni vita, anche la più debole, la più emarginata, la più fragile. Si apprende in famiglia che il vivente ha valore in se stesso, al di là delle varie qualità, quali cultura, educazione, classe sociale, merito o altro. È il senso della dignità personale di ogni membro essere vivente, e in special modo di ogni membro della coppia e della famiglia. Senza questa radicale e inalienabile convinzione non si può approdare a condizioni di vita comunitaria e piena. Riconoscersi e riconoscere l’altro come irripetibile ed unico. 
                                                                                                                   Giovanni Salonia

sabato 12 ottobre 2013

Monreale: gli orari spiegati ai turisti

Chiostro accanto al Duomo  di  Monreale.

    In due utili libri-pocket, La mafia spiegata ai turisti e I Siciliani spiegati ai turisti, Augusto Cavadi ha sintetizzato i tratti peculiari di Cosa Nostra e dei siciliani. Forse l’autore dovrebbe cimentarsi in un terzo libretto, per spiegare a chi si reca a Palermo e Monreale per ammirarne le cattedrali, gioielli dell’arte arabo-normanna, come mai in agosto alle 19 siano già chiuse. Certo, i due monumenti sono chiese cattoliche ed è giusto che i turisti non disturbino durante le funzioni religiose. Ma è davvero incomprensibile che chi arriva dal Giappone o da san Francisco abbia la pessima sorpresa di trovare sprangate le porte del duomo di Monreale, che la domenica apre soltanto dalle 8 alle10,30 e dalle 14,30 alle 17,30. Perché non riaprire il duomo la sera oppure tenerlo aperto dalle 13.00 alle 14.30? Chissà se la sagacia del prof. Cavadi riuscirebbe a spiegarlo, ai turisti ignari e stupiti …
                                                                   Maria D’Asaro  (“Centonove”, n.38 dell’11.10.2013)



martedì 8 ottobre 2013

Miliardi


Berthe Morisot: La culla




Miliardi 
          di esseri,
gettati nel tempo,
          cercano un senso nascosto.
Consolami.        
          

domenica 6 ottobre 2013

Ricchi e poveri: Dio non vuole


    Come si chiama il ricco? Il Vangelo non ce lo dice, non dà un nome al ricco perché prende le distanze. Al contrario dà il nome al povero, il povero si chiama Lazzaro. E qui già ci dice da che parte dobbiamo stare. Il Vangelo sta dalla parte di Lazzaro. Il ricco non è degno di essere nominato. Qual è la scena che dobbiamo interpretare e che abbiamo frainteso non fino ad ieri ma fino a domani, perché non ci è comoda? C’è il ricco che mangia a crepapelle, con gli amici, si diverte, ha soldi da spendere, investe soldi in tutte le isole del mondo, ha tante donne, può pagare tutto e tutti.  Non state pensando a nessuno, vero? Io non sto pensando a nessuno. (...)
    A cosa serve questa pagina? In genere noi l'abbiamo interpretata pensando al futuro: alla fine ride bene chi ride ultimo e quindi ci aspettiamo che Dio alla fine faccia lo sgambetto ai ricchi i quali possono dire: in compenso abbiamo vissuto tranquillamente, e poi alla fine vedremo quello che succederà. E non sappiamo altro se non aspettarci la condanna dei ricchi e mandarli all’inferno. Alla fine dovrebbe avvenire che i poveri sono contenti di vedere soffrire i ricchi. Questo è il paradiso di cui parla il Vangelo? Non è possibile! Sarebbe una cosa stupida: Dio non può godere neppure della sofferenza o della morte dei ricchi perché sono figli suoi. E perché il povero deve aspettare la fine per poter prendersi la rivincita sul ricco? 
        La parabola si riferisce al presente di oggi e ci vuole dire che essere ricchi ed essere poveri è peccato dinnanzi a Dio. Il vero peccato non è il diavolo. Il vero diavolo è il fatto che abbiamo diviso gli uomini fra ricchi e poveri. Il ricco non si accorge neppure che esiste il povero. Diciamo in siciliano u saziu un capisci cu è digiuno. (...) 
      Il peccato è nell’essere ricchi e nel non vedere la presenza dei poveri. Il vero peccato mortale, dinnanzi al Signore, quello che più di ogni altro ci dovrebbe inquietare interiormente, è proprio il fatto che abbiamo diviso l’umanità fra gente che ha, che ha sempre di più e vuole avere sempre di più e gente che ha sempre di meno e gente che viene messa da parte. E tutto questo è peccato mortale. Tutto qua, care sorelle e cari fratelli, e ci interessa oggi cambiare la realtà. Alla fine vedremo cosa farà il Signore. I discorsi consolatori non ci servono, perché noi stiamo male oggi e dobbiamo fare in modo di stare meglio tutti, oggi, e non aspettare le vendette del Signore, non ci servono. Dio si vendica? Ma se ci invita al perdono! Ci invita semmai alla conversione. La vera conversione è quella che passa dalle tasche e dal cuore, evidentemente. 
   La parabola è tutta qua, è di una semplicità scomoda e, se volete, disarmante. Non ci invita a rinviare niente, ci invita a impegnarci nell’oggi perché cambi la realtà e quindi a non accettare questa realtà, non possiamo accettarla a nome di Dio per un motivo semplice: sia il ricco sia il povero sono figli di Dio e agli occhi di Dio, Dio non ci può trattare in modo diverso perché è Padre che ci ama tutti con lo stesso amore e non può volere che uno gozzovigli e l’altro sia nella sofferenza. (...) La parabola ci esorta al nostro impegno a non accettare, a non subire, per nessuna cosa al mondo, questa situazione. (...)
     E questa battaglia spirituale che dobbiamo fare non è fatta di armi fisiche. È fatta di onestà, in primo luogo, nostra, quella di non venderci mai a nessuno. Non perché c’è la crisi dobbiamo cominciare a vendere droga o accettare compromessi. Queste sono armi di morte. A costo di stare a digiuno, un pezzo di pane da portare a casa deve essere dignitoso, che si può baciare perché me lo sono dignitosamente guadagnato. Meglio una povertà libera anziché una ricchezza sempre sporca. Quindi da un lato dobbiamo vivere dignitosamente, al nostro posto, ma bisogna che ci armiamo di tutte le virtù: la giustizia, la pace, la forza, l’amore, la speranza, per metterci in piedi, stare dritti, prendere posizione (...) 
      Impariamo da San Michele: quello che calpesta è il cosiddetto dragone. Il dragone della nostra vita sono i soldi che distruggono le famiglie, distruggono la pace fra le nazioni, il potere politico – inteso come dominio – e il potere  economico. Il diavolo è questo, non inseguiamolo altrove, in visioni o altro. Il diavolo, contro il quale dobbiamo combattere, è esattamente il denaro che è dominio e ci vuole molta forza, coraggio, umiltà, resistenza e unione della comunità. Il nome Michele significa Chi come Dio? Nessuno è come Dio, ci vuole dire San Michele. Solo Dio è Dio. Il denaro è sporcizia del quale se lo usiamo per il bene va bene altrimenti ci dobbiamo difendere ed è lo sterco della nostra umanità ... 

(il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D'Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle imprecisioni e manchevolezze della trascrizione. Omelia del 29.09.2013, XXVI dom. T.O., Vg:  Luca 16, 19-31)



venerdì 4 ottobre 2013

Libera il Francesco che è in te

Sebbene le multinazionali, le banche e ricchi  tiranneggiano nella società, oggi voglio ricordare Francesco, che visse il valore liberante della povertà e dell'armonia con tutte le creature della Terra. 
Ecco una sua preghiera. Difficile da pronunciare per intero.

Oh, Signore,
fa' di me lo strumento della Tua Pace;
Là, dove è l'odio che io porti l'amore.
Là, dove è l'offesa che io porti il Perdono.
Là, dove è la discordia che io porti l'unione.
Là, dove è il dubbio che io porti la Fede.
Là, dove è l'errore che io porti la Verità.
Là, dove è la disperazione che io porti la speranza.
Là, dove è la tristezza, che io porti la Gioia.
Là, dove sono le tenebre che io porti la Luce.
Oh Maestro,
fa' ch'io non cerchi tanto d'essere consolato, ma di consolare.
Di essere compreso, ma di comprendere.
Di essere amato, ma di amare.
Poiché: è donando che si riceve,
è perdonando che si ottiene il Perdono,
ed è morendo, che si risuscita alla Vita eterna.

giovedì 3 ottobre 2013

Il nostro caro angelo

Questo post andava fatto ieri, festa degli Angeli custodi. Ma ieri sono stata impegnata da mane a sera con lavoro, correzione bozze e festeggiamento del compleanno di Augusto,  mio amico fraterno.

Ecco allora oggi  le parole di una suggestiva preghiera irlandese (forse già postata, ma non credo dia fastidio la ripetizione) e le note del nostro caro Lucio.

May God give you:
for every storm a rainbow,
for every tear a smile,
for every care a promise and a blessing in each trial.
For every problem life send a faithful friend to share,
for every sigh a sweet song and an answer for each prayer.

Che l'Angelo - o lo spirito d'amore positivo che è dentro di noi - ci sostenga, ci dia forza e ci tenga sempre per mano.
P.s. Leggete questo suggestivo racconto sugli angeli ...