giovedì 31 gennaio 2013

Giovanni Bosco



Oggi il calendario cattolico ricorda san Giovanni Bosco, che, nella Torino di fine ‘800, spese la sua vita per il recupero e la promozione umana dei ragazzi difficili: orfani, poveri, carcerati. Giovanni Bosco mi è particolarmente simpatico perché, in modo molto diverso, anch’io mi occupo di ragazzi sperduti.
Temo però che mettere l’aureola sulla testa delle persone non sia un’operazione del tutto produttiva: talvolta ci fa sembrare diversi e lontani gli uomini e le donne capaci di cose belle, di sguardi in avanti, di azioni profetiche, di cura per gli altri. Allora Giovanni Bosco vorrei ricordarlo soprattutto come uomo di cura. Come persona coraggiosa e caparbia decisa a educare, cioè a trarre fuori il bello e il buono che sapeva esserci nel cuore di ogni ragazzo.

martedì 29 gennaio 2013

Tensione evolutiva

In certi giorni, eppure ho questo vuoto tra lo stomaco e la gola ...
Nessuno si disseta ingoiando la saliva.
Ci vuole pioggia, vento e sangue nelle vene.
E una ragione per vivere, per sollevare le palpebre
e non restare a compiangerci
e innamorarci ogni giorno, ogni ora di più.




lunedì 28 gennaio 2013

Lebbrosi: tocco o non tocco?


In una mia vita precedente, ero attivista dell’Associazione Italiana amici di Raoul Follereau che, sulla sua scia, si occupa di combattere la lebbra nel mondo. Ecco, per chi volesse saperne di più, il sito dell'Associazione.
Ieri, giornata della memoria, era anche la 60° giornata mondiale dedicata ai malati di lebbra. Malattia diffusa oggi soprattutto nei paesi più poveri e ormai guaribile con un  cocktail di antibiotici.
Vi propongo delle vecchie riflessioni del mio amico don Cosimo Scordato (omelia del 16.02.2003, Vangelo di Marco 1,40-45).

(…) Ebbene, Gesù cosa fa dinanzi a questo lebbroso? Intanto vi dò una brutta notizia, allora c’era una legge che proibiva di toccare i lebbrosi. L’ha rispettata Gesù questa legge? No: ha steso la mano, ha toccato il lebbroso, forse ha anche avuto paura … speriamo che mi finisca bene: ha pensato questo Gesù? Non lo sappiamo veramente.  Marco è molto sbrigativo.
Ma il miracolo non è solo nel contravvenire a una norma e neppure nel risultato. Ascoltate,  c’è un particolare importantissimo che voglio rileggere (…) il lebbroso si mette in ginocchio, lo prega: - Se vuoi, puoi guarirmi. – E Gesù, mosso a compassione … Qui comincia il miracolo. Di fronte al lebbroso, Gesù stava male, pativa lui, si sarebbe messo a piangere.
Compatire, nel linguaggio biblico, è un verbo che allude alle viscere della mamma, Marco scrive in greco, ma ha presente quel termine ebraico, le viscere di misericordia, di compassione … Il miracolo comincia là: mosso a compassione. Gesù non poteva sopportare che la persona con cui si stava incontrando avesse tanta sofferenza, stesse così male.
E comincia questo sentimento meraviglioso che è la compassione: che è il piangere della sofferenza altrui, anche se è impegnativo, è pesante, è sentire la sofferenza dell’altro dentro di noi. Come la mamma sente la sofferenza del proprio bambino e non sa cosa fare prima: gli tocca la fronte, poi gli mette il termometro, poi gli dà da mangiare … fa di tutto per farlo stare meglio.
Là comincia il miracolo di Gesù: mosso a compassione, stese la mano, accorcia la distanza. Perché il lebbroso era vicino o lontano? Il lebbroso non poteva avvicinarsi, secondo la legge, quindi Gesù stende la mano per andargli incontro. Magari il lebbroso si sarà tirato indietro, perché allora era proibito che un lebbroso si avvicinasse a un sano. Ma Gesù stese la mano perché volle raggiungerlo e poi lo toccò, gli fece una carezza. E, finalmente, gli disse: Guarisci, lo voglio.
Cosa c’era, nella mano di Gesù? La sua compassione, era tutta nella sua mano. E l’ha sentita, questa mano, il lebbroso? Il lebbroso, sentendo la mano, sentendo questa compassione, si guarì. La compassione ci guarisce, care sorelle e fratelli. La compassione, la mano, la parola: quante volte noi l’abbiamo sperimentato: a un bambino che piange facciamo subito una carezza.
Marco ci insegna il linguaggio del corpo e ci propone Gesù interessato al nostro corpo. E’ un contatto corporeo: cuore, passione, vicinanza, stendere la mano, contatto fisico, toccare, parlare e consegnare la compassione a quella mano e a quella parola. E allora il lebbroso guarisce.
Impariamo a fare questi miracoli, care sorelle e fratelli. A nessuno è proibito fare miracoli. Almeno proviamoci a fare qualcosa di bello attraverso il cuore, la mano e la parola messi insieme. Ma se Gesù non avesse avuto compassione, poteva mai guarirlo quel lebbroso? Credo di no. Cuore, mano, parola, vanno insieme. Proviamoci anche noi e vediamo di stare tutti meglio per aiutarci a vicenda a liberarci da tutte le malattie.
Invece noi abbiamo sempre paura dei contagi. A volte esistono contagi al contrario, tante volte abbiamo immaginato un’idea di sacerdote da non accostare, un contagio al contrario, perché il prete è vestito di nero, è di un altro mondo, di un altro cielo. Ma Gesù è di carne e ossa. Ed è questa la grazia di Dio nella nostra carne, nella nostra umanità.

(il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: pertanto eventuali errori o omissioni sono della scrivente, Maria D’Asaro, che si assume la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze della trascrizione)

domenica 27 gennaio 2013

Per favore, non celebrate nessuna Shoah


Oggi 27 gennaio, giornata della memoria dello sterminio degli ebrei, propongo le riflessioni dell’amico Augusto Cavadi, pubblicate giorni fa su “Centonove”, il settimanale siciliano col quale collaboro.
Augusto Cavadi
Un modo per celebrare la  giornata mondiale della memoria (27 gennaio) cercando di andare un po’ oltre le parole di circostanza, che ormai non trovano lo spiraglio per entrare nei nostri animi, è forse cercare di capire perché  - in pieno XX secolo – si sono potuti verificare stermini sistematici di massa come la persecuzione nazista degli Ebrei. Che è anche un modo per cercare di prevenirne la replica in futuro.
Già, perché la primissima notazione è che il genocidio degli Ebrei non è stato un fungo velenoso in un’area verdeggiante e salubre. Prima, durante e dopo (con motivazioni simili quando non identiche) la storia ha registrato orrori analoghi: dagli Armeni ad opera dei Turchi sino ai Bosniaci  ad opera dei Serbi. Senza contare che cosa è successo, per decenni, nei gulag sovietici dove sono state macerate vittime di persecuzioni non solo etniche, ma anche politiche, sociali e religiose. Con il sottolineare che i campi di concentramento e di sterminio nazisti non costituiscono un’eccezione, bensì una delle tante punte emergenti di altrettanti iceberg, non s’intende sminuire la gravità del fenomeno: si vuole piuttosto notare che, proprio perché è stato un fenomeno di pesantezza insopportabile,  non ci si può accontentare di avere abbattuto l’albero senza strapparne le radici. 
Una seconda notazione riguarda l’aspetto linguistico: perché non ho usato il vocabolo Shoah che solitamente viene reso in italiano con Olocausto? Perché sono d’accordo con quegli intellettuali ebrei che trovano di pessimo gusto l’uso di un termine teologico-religioso a proposito di un evento in sé insensato, inumano. Chi vi ricorre, finisce  - sia pure del tutto inconsapevolmente – con il conferire un qualche significato a ciò che è successo: quasi che lo sterminio degli Ebrei, assurdo dal punto di vista degli uomini, potesse avere un valore purificatorio e redentore agli occhi di Dio. Nessun “olocausto”, nessun “sacrificio”, dunque: ciò che è accaduto non è stato né voluto né accettato da nessun dio.
Ma – e siamo ad una terza notazione – come è potuto accadere? Sarebbe da sciocchi pretendere di analizzare tutte le cause di un evento storico, specie quando si tratta, come in questo caso, di un evento di proporzioni impressionanti. Si possono solo richiamare alcuni segmenti.
Un primo ordine di cause lo rintraccerei nella storia culturale della Germania. Qui abbiamo assistito ad un secolare fenomeno (non del tutto estraneo ad altre aree geo-culturali europee) di criminalizzazione del popolo ebreo. Personalità geniali, che nel loro campo hanno compiuto vere e proprie rivoluzioni, come Martin Lutero nel Cinquecento e Karl Marx nell’Ottocento, hanno lasciato pagine ingiuste e calunniose contro gli Ebrei. 
L’anti-ebraismo, che è già abbastanza orribile, ha conosciuto proprio nell’Ottocento un’ulteriore degenerazione diventando anti-semitismo: da ostilità contro un popolo per ragioni culturali si è passati all’ostilità per ragioni razziali. A parte l’infondatezza scientifica della nozione di razza, poco o niente è valso obiettare che, dopo duemila anni di diaspora nel pianeta, gli ebrei avevano mischiato con i popoli più diversi i propri caratteri ereditari: ebrei in Africa o in Asia avevano anche esteriormente aspetto diverso dei correligionari in Europa o in America.
Dall’anti-ebraismo all’anti-semitismo, dunque: e, come se ciò non bastasse, nel XX secolo è andato maturando l’anti-sionismo, cioè l’avversione al progetto politico di associazioni ebraiche intenzionate a ritrovare un luogo fisico, una patria geografica, per tutti i correligionari che avessero voluto ritornare a Sion (o la Sion originaria, l’attuale Stato d’Israele, o un altro fazzoletto di terra sul pianeta). Una miscela confusa, ma esplosiva, di motivi di ostilità verso un popolo né migliore né peggiore della media dell’umanità: ecco il terreno da cui si è sviluppata la strategia di annientamento degli Ebrei ad opera dei nazisti!
E’ lecito chiedersi se tale strategia di vertice avrebbe trovato così ampia e capillare attuazione qualora il sistema educativo dei  Tedeschi della prima metà del XX secolo   fosse stato differente. Migliaia di cittadini esemplari dal punto di vista della morale individuale e familiare, oltre che dell’etica pubblica, hanno partecipato senza battere ciglio (tranne rarissime eccezioni) a una macelleria sistematica le cui vittime innocenti non avevano offerto il minimo motivo di rancore né di rivalsa.
Qui forse possono soccorrere le considerazioni di un’Alice Miller sugli effetti disastrosi della “pedagogia nera”: dell’educazione al conformismo, all’obbedienza cieca, all’imitazione acritica. Si attribuisce alla compianta Mariangela Melato l’avvertenza di evitare gli individui che non hanno personalità o che ne hanno più di una: probabilmente sono proprio quanti non ne hanno una che ne assumono tante.
Già questa sin troppo scarna analisi suggerisce, per contrasto, alcune linee operative per il presente.  Innanzitutto l’asse della conoscenza vera: le falsità teoriche partoriscono, prima o poi, mostri pratici. La Chiesa cattolica, per secoli, precisamente sino alla riforma liturgica voluta da papa Giovanni XXIII a metà del XX secolo, ha insegnato a generazioni di fedeli – anche in Germania – a pregare il Venerdì santo  per la conversione degli Ebrei, “popolo deicida”! Quale punizione sarebbe abbastanza proporzionata per una popolazione che, in solido !, ha ucciso Dio fattosi uomo?
Ma la verità cognitiva, necessaria, non basta. Ci sono tanti orrori contemporanei che non condividiamo e rispetto ai quali, tuttavia,  non troviamo di meglio che fare spallucce. Se non rischiassi di aprire una parentesi troppo lunga, accennerei – per esemplificare – ai metodi attuali di allevamento e di uccisione degli animali domestici di cui ci cibiamo: è privo di significato, sinistramente illuminante, che i  campi di sterminio nazisti fuorono realizzati sul modello dei macelli di carne animale degli Stati Uniti d’America? Può darsi che, anche grazie a libri come Se niente importa di Jonathan Safran Foer, tra qualche decennio, o tra qualche secolo, si capirà che trattare gli animali come li trattiamo adesso nei nostri mattatoi non è “normale”, proprio come non era “normale” trattare i nostri fratelli Ebrei come sono stati trattati ad Auschwitz o a Dachau?
Ma lasciamo da parte la questione degli altri animali. Limitandoci agli animali dell’unica razza umana a cui apparteniamo, quanti di loro in questi stessi anni stanno subendo violenze inaudite e sistematiche nel silenzio complice delle istituzioni nazionali e internazionali? Proprio i Palestinesi, che per venti secoli hanno continuato ad abitare la terra su cui dopo la Seconda guerra mondiale sono tornati gli Ebrei per fondare lo Stato d’Israele, stanno patendo sofferenze di ogni genere: anche le loro ragioni vanno valutate, senza identificare la  causa sacrosanta della difesa dell’ebraismo con la causa, opinabile, della difesa della politica israeliana.
Oltre che i Palestinesi, decine di popoli  e di categorie sociali sono oggi oggetto di discriminazione e di persecuzione. Ogni volta che siamo tentati di ignorare le loro tragedie, faremmo bene a rileggere le parole che vengono attribuite a più d’un autore tedesco coevo del nazismo: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
 (Augusto Cavadi, “Centonove” 18.1.2013)

sabato 26 gennaio 2013

Il nostro mar Rosso


Nel Canale di Sicilia, dal 1988 ad oggi gli annegati sarebbero più di 19.000: 4.000 in più degli abitanti di Cefalù. Ecco le toccanti parole di Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa e Linosa: “Da maggio al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri: (…) quanto deve essere grande il cimitero della mia isola? (…) Sono indignata dall'assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell'Europa, che ha appena ricevuto il Nobel della Pace, e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull'immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi (…). Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l'unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l'Europa motivo di vergogna e disonore.”

Maria D’Asaro (“Centonove”, 25.1.2013)

giovedì 24 gennaio 2013

Nostra Signora e le sue gioie minute


Ci sono tempi che a nostra Signora concedono poco.
Come il pensionato di gucciniana memoria, che stirava, cucinava e poi lavava piatti e mani, lei trascorre i suoi giorni facendo la spesa, caricando la lavatrice, inseguendo a scuola i ragazzi sperduti, cucinando lenticchie e frittate. Magari fa anche otto piani a piedi con tre pesanti sacchetti e la borsa di lavoro, perché l’ascensore è bloccato. L’indomani ricomincia, con la solita lena.
Però nostra Signora, nel grigio del cielo d’inverno, assapora i suoi frammenti di gioia: fa crescere la coperta patchwork, iniziata dalla sua mamma; legge pagine di libri nutrienti; sente il tepore della voce di un'amica; sforna ogni tanto una torta perfetta; si fa la doccia con l’acqua calda al punto giusto; si regala un cappotto blu a prezzi scontati.
Così, ogni mattina, si sveglia contenta. 
E’ viva. E’ sana. Ha una casa e un lavoro.
E lassù qualcuno la ama.

martedì 22 gennaio 2013

venerdì 18 gennaio 2013

La festa è finita, l’immondizia rimane

       Dal quotidiano “La Repubblica”, qualche settimana fa Enzo Bianchi ci ricordava che: “La festa è l’occasione per ‘vivere insieme’ un evento, una memoria, un’appartenenza, una speranza condivisa (…): elemento essenziale è la convivialità attorno alla tavola, luogo straordinario di umanizzazione, di ascolto reciproco, di scambio della parola, luogo dove dire sì alla vita con le sue fatiche, le sue sofferenze, le sue gioie e le sue speranze.” Però, continuava il priore: “le feste natalizie oggi, segnate dalle esigenze del consumismo (…), sono percepite come occasioni per scambiarsi doni in una società (…) incapace di sobrietà e portano con sé abitudini che fanno ripetere gesti e parole magari svuotati di passione.” Gesti senza senso, ma pieni di involucri. Così, a dicembre, a Palermo: non so se abbiamo colto il senso autentico delle feste natalizie, che, comunque, ci hanno lasciato per settimane il tanfo acre di enormi mucchi di spazzatura per strada.                         

              Maria D’Asaro ("Centonove", 18 gennaio 2013)


           
   

mercoledì 16 gennaio 2013

Vivi







 
Vivi
 con gioia,
 al ritmo allegro
 del cuore che pulsa.
 Danzante.

domenica 13 gennaio 2013

Omaggio a Mariangela Melato


    Omaggio a Mariangela (e a tutte le donne intelligenti) da un giornalista che apprezzo.

   "Era più intelligente di me, approfondiva mentre io sono superficiale". Di tutte le parole d´amore spese per Mariangela Melato, queste di Renzo Arbore (raccolte da Silvia Fumarola per Repubblica) mi hanno commosso più di ogni altra. Perché dicono, delle donne, la cosa più importante ma non sempre la più detta: che le donne sono, in prevalenza, persone serie. E che la loro serietà (nei sentimenti, nel lavoro, nel maneggiare le cose della vita) è spesso di esempio e di soccorso a noi maschi.
       Forse perché la gestione del talento, nelle donne, richiede fatica doppia; forse perché, dall´alba dei secoli, mentre noi si andava a caccia, o in guerra a sbudellare il prossimo e a farci sbudellare, o a navigare per mesi e anni in cerca d´oro e di conquiste, loro restavano a casa e avevano molto tempo per pensare, mettendo a frutto la loro solitudine; fatto sta che, proprio come dice Arbore, le donne "approfondiscono". Nel saluto di un uomo allegro (e intelligente) alla donna della sua vita, l´omaggio alla profondità suona, a sua volta, profondo. Umile e profondo. Riconoscente e profondo.
Le donne, per nostra fortuna, sono contagiose.
 (Michele Serra, La Repubblica, 13.1.2013)
  

venerdì 11 gennaio 2013

La piccola caldarrostaia



       In inverno a Palermo, in strada c’è spesso un venditore improvvisato di caldarroste: in cambio di qualche euro, ci fa gustare un “coppo” di  fragranti castagne arrostite. Nella composita cerchia del precariato urbano, chi vende castagne è un gradino più in basso rispetto ai venditori di “quarumi”, che hanno posti fissi nei mercati rionali e banchi di vendita sparsi qua e là per la città. 
     Giorni fa, in corso Tukory, tra la Stazione ferroviaria e Viale delle Scienze, ho visto un caldarrostaio attorniato da mezza dozzina di cuccioli d’uomo dai capelli arruffati e dai visi arrossati, con abitini davvero dimessi. Una bimba di cinque o sei anni, accovacciata accanto al fornello, si scaldava le mani. Avremmo bisogno di un Dickens o di un Victor Hugo redivivi, ancora capaci di narrare le storie di chi vive ai margini. E di intenerire i cuori, ahimè troppo duri, degli uomini del nostro tempo.
    
 Maria D’Asaro  (“Centonove” del 7.12.2012)

martedì 8 gennaio 2013

Ti sorrido, mentre tutto si trasforma


In questo post di mio c’è solo l’assemblaggio. E la citazione del filosofo Eraclito: Niente nasce e niente muore, tutto si trasforma. Articolo e video mi sono stati segnalati da Riccardo e Luciano, figli con i quali condivido la tensione ecologica e l’apprezzamento per Caparezza.

UN SOLO SACCHETTO DI RIFIUTI
IN TUTTO IL 2012
 Ecco a voi John Newson, l'uomo che ha riciclato tutto

 John Newson, da Birmingham, aveva un obiettivo in mente: non buttare la spazzatura per tutto il 2012. Ci è riuscito, nel senso che ha riciclato praticamente tutto. Risultato? Un solo sacchetto di rifiuti accumulati in un interno anno: il 2012. Ogni settimana, John ha attentamente passato al setaccio i suoi rifiuti domestici, differenziando in maniera certosina l'umido, la carta, la plastica, il vetro e le lattine. "Volevo spingermi all'estremo per vedere fin dove potevo arrivare. L'80-90 per cento di tutti i rifiuti possono essere compostati o riciclati. Al momento in Gran Bretagna la raccolta differenziata copre solo il 30 per cento." John è riuscito in questa impresa grazie alla sua enorme volontà. In alcuni casi è stato costretto a portare con sé alcuni rifiuti, come ad esempio il tetra pack, per  consegnarli a centri di riciclaggio a Londra o Bristol, viaggi compiuti comunque per andare a trovare degli amici.
http://www.cadoinpiedi.it/2012/12/31/un_solo_sacchetto_di_rifiuti_in_tutto_il_2012.html)

Ed ecco il nostro Caparezza nazionale, che continua a sorridere mentre affoga:







domenica 6 gennaio 2013

Il terzo segreto


      
     Quando lo vidi, avevo forse vent’anni e abitavo ancora con i miei genitori e mia sorella. Si tratta del film Il terzo segreto (The Third Secret), diretto nel 1964 da Charles Crichton.  Il protagonista, uno stimato psicoanalista,  ha un rapporto complesso con la figlia e muore tragicamente.
Ma ciò che mi ronza in testa da sempre è quello che il medico dice alla ragazzina: - Il primo segreto è quello che non diciamo agli altri, il secondo segreto è quello che non diciamo a noi stessi, e il terzo segreto... qual è?- 
Il terzo segreto è la verità.
 Il Morandini commenta: «Maltrattato dalla critica londinese perché pretenzioso, appesantito da dialoghi prolissi di carattere filosofico, è, invece, su sceneggiatura di Robert L. Joseph, un giallo psicologico anomalo e intrigante, forse un po' macchinoso nel mosaico delle storie, ma non mai banale» (fonte: Wikipedia)

mercoledì 2 gennaio 2013

Caro 2013 ti scrivo

Condivido l’idea dall’amica blogger curlydevil che, nel post Un gioco dei desideri per il nuovo anno ha scritto in ordine alfabetico “le cose che desidero per l'anno nuovo e quelle di cui non voglio sentir più parlare”. Le prime quattro cose, in positivo e in negativo, le condivido da curly, le altre sono farina del mio sacco. Buon gioco dei desideri e buon 2013 a tutti!



Voglio:

1) Abbracci
2) Baci
3) Carezze
4) Dormire
5) Ecologia
6) Forza
7) Grinta
8) Humour
9) Immaginazione
10) Libri e post
11) Musica
12) Nutrimento
13) Occupazioni  per tutti
14) Pace
15) Quiete
16) Risate
17) Salute
18) Tenerezza
19) Uva
20) Vacanze
21) Zelo

  Non voglio:

1)    Adeguarmi
2)    Banalità
3)    Casini
4)    Delusioni
5)    Estati torride
6)    Femminicidio
7)    Guerre
8)    Hanseniani
9)    Illusioni
10)  Lontananze
11)   Malinconia
12)  Nicotina
13)  Osteoporosi
14)  Paura
15)  Qualunquismo
16)  Risonanza magnetica
17)  Stress
18)  Terremoti
19)  Ustioni
20) Vuoto
21)  Zanzare