venerdì 26 agosto 2011

Spirali



Spirali
Di luce
E di buio
Confuse, mi danzano attorno.
Abbracciami…

martedì 23 agosto 2011

Nostra Signora in mezzo al guado



Per Nostra Signora non era stato facile niente: cambia lavoro e la mandano a Ustica perché è ragazzina; rimane incinta e rischia di perderlo, quel bambino prezioso; la sorellina che le dà cura, un giorno non muove più il braccio, un altro la gamba.

E, in un maledetto settembre, non si muoverà più.
Ora Nostra Signora è sola in una barchetta piccina: le luci del vecchio porto ormai invisibili; quelle del nuovo brillano chiare, ma sono lontane …
In quella barchetta dovrà passarci più di una notte: ha sete, ma dov’è l’acqua dolce?
Allora si chiede cos
a si provi a mettere sotto la testa, nel mare.
E a lasciarsi andare.

Per Tutti ... con riserva

Nel paesino della bambina piccina picciò il cinema non c'era.

    C'era invece nel paesino vicino, dove vivevano il nonno, le zie zitelle for ever e l’unica sorella accasata di mamma, il cui marito era falegname di giorno e operatore cinematografico la sera.
    La mansione dello zio procurava alla bimbetta il vantaggio di vedere i film senza pagare il biglietto.
Ma c’era un problema: a casa dello zio, delle zie zitelle e persino a casa della bambina c'era un librettino. Rosso. Niente a che fare con il più celebre libretto di Mao… Dieci per quindici, recava le iniziali C.C.C., che significavano: Centro Cattolico Cinematografico. Conteneva infatti tutti i titoli dei film allora in commercio e li schedava in sei categorie: Per Tutti, Per Tutti con riserva, Per Adulti, Per Adulti con riserva, Sconsigliato, Escluso.
    I giudizi del Centro Cattolico Cinematografico erano inappellabili. E così, se arrivava "Ercole alla conquista di Atlantide" e il librettino lo catalogava: Per Adulti, divieto assoluto di vederlo. Gli unici film concessi erano quelli Per Tutti o, magari, qualcuno schedato Tutti con riserva.
    Però, durante le vacanze estive, arrivavano nel paesino provvisto di cinema i cugini romani: più grandi, più agguerriti della bambina e della stessa figliola dell’operatore. Per nulla disposti a rinunciare a uno spettacolo cinematografico. Pure gratuito.
E così, una sera d'agosto, la cugina romana decise che nessuno poteva privarli della vista di un film di cappa e spada, bollato Per Adulti dal famigerato libretto. - Come faremo?... La Zia non ci darà sicuramente il permesso... - Poiché i genitori delle bambine erano al lavoro nei luoghi di origine, una delle zie signorine si era assunta anche il compito di vigilare sulla moralità della loro condotta cinematografica. - E' semplice: le diciamo che il film è Per Tutti con riserva! - Ma non ci crederà ..scoprirà che è Per Adulti ... – obiettava la bambina piccina picciò - Sta zitta – la redarguiva la cugina romana, forte della sua volontà di andare a cinema e dei quattro anni in più - diremo così e basta. Nasconderemo il libretto...

- Dove andate, ragazzine? - A cinema... - Ma che film c’è stasera? - Un bel film d'avventura...- Ma sarà adatto a voi ragazzine? - Certo: è Per Tutti...con riserva - Ah...non facciamo che non è così...State attente... Purchè non sia immorale... - No, no...che dici zietta...è solo Per Tutti con riserva..."
A questo punto, pur tentennando, la zia concesse il permesso di andare.

Il film era ambientato nella Francia dei tre Moschettieri e del cardinale Richelieu. Durante la proiezione la bambina si chiedeva, inquieta, cosa ci fosse di tanto peccaminoso da vietarne la visione Per Tutti: forse il bacio che il protagonista, a un certo punto, aveva dato alla bella Angelica...
Mentre tornavano a casa, la bimbetta aveva un’indefinibile sensazione di malessere: la sua cattiva coscienza le faceva temere gli strali della Zia, qualora avesse scoperto la verità.
Le tornava l’immagine dello studiolo dello zio operatore: solo una scrivania e una piccola libreria, posta alla sinistra della scrivania stessa. Tra gli altri libri, la libreria ospitava un centinaio di opuscoletti – anch’essi dieci per quindici - la cui copertina raffigurava il volto terrorizzato di una giovane donna dai capelli biondo-ramati, che si confondevano con le fiamme rosseggianti che la circondavano. In basso, a sinistra, c'era una scritta in stampatello: "SONO DANNATA!"
La bambina si chiedeva cosa contenesse il libriccino al suo interno...
Chissà quali gravi peccati aveva commesso la signora... forse aveva anche visto un film Sconsigliato o Escluso.
– E se la Zia lo scoprirà?... – mormorava allora alla cugina baldanzosa, trotterellandole accanto.
- Uffa, basta: possiamo anche dirglielo che il film era... Per Adulti … Mica andremo all'Inferno...

Un libro al mese: Maggio 2011




Italo Calvino Lezioni americane - Sei proposte per il prossimo millennio Oscar Mondadori, Cles (Tn), 2010


Ebbene si lo confesso: di certe persone ho facilità a innamorarmi. Non importa se uomini o donne, non importa se vive o defunte: le amo perdutamente lo stesso. Perché lasciano dentro di me un segno profondo che non posso ignorare. Magari, gli scrivo pure una lettera, anche se trapassate: ecco il perché della lettera a Primo Levi ;
ad Alex Langer;
alla mia conterranea Giuliana Saladino.

Una di queste persone è Italo Calvino: Marcovaldo, Le cosmicomiche, i Racconti, le Città invisibili sono, a mio avviso, prove eccelse del suo possesso, avvincente e creativo, di una particolare chimica delle parole.
Cosi, non mi sono lasciata scappare le Lezioni americane, il materiale per le sei conferenze che Calvino avrebbe dovuto tenere nel 1985/86 presso l’Harward/Cambridge University, nel Massachusetts, se un’emorragia cerebrale non avesse tagliato il filo della sua vita, il 19 settembre 1985.
Calvino aveva deciso di discettare di alcuni valori letterari da conservare nel 21° secolo: al momento di partire per gli States, gli mancava solo “Consistency”, che avrebbe scritto ad Harward.


Precisamente, è Calvino stesso che parla: la “leggerezza”, la “rapidità”, l’ ”esattezza”, la “visibilità”, la “molteplicità” dovrebbero in realtà informare non soltanto l’attività degli scrittori, ma ogni gesto della nostra troppo sciatta, svagata esistenza.


Leggerezza: “forse stavo scoprendo … la pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo: qualità che s’attaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di sfuggirle… il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare”.
Rapidità: “il racconto è un’operazione sulla durata, un incantesimo che agisce sullo scorrere del tempo, contraendolo o dilatandolo … l’arte che permette a Sheherazade di salvarsi la vita ogni notte sta nel saper incatenare una storia all’altra e nel sapersi interrompere al momento giusto; due operazioni sulla continuità e discontinuità del tempo”.
Esattezza: “soprattutto tre cose: 1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato; 2) l’evocazione di immagini visuali nitide, incisive, memorabili; 3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione”.
Visibilità: “la mente del poeta, e in qualche momento decisivo la mente dello scienziato, funzionano secondo un procedimento d’associazioni d’immagini che è il sistema più veloce di collegare e scegliere tra le infinite forme del possibile e dell’impossibile”.
Molteplicità: “l’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d’attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati … Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessun altro osa immaginare la letteratura continuerà ad avere una funzione. Da quando la scienza diffida delle spiegazioni generali e delle soluzioni che non siano settoriali e specialistiche, la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo.”


Perché non ho ancora scritto a Calvino? Non ho ancora letto Il Barone rampante, Il Visconte dimezzato … Gli scriverò, prima o poi.

O mi complimenterò direttamente, nell’aldilà …

lunedì 22 agosto 2011

Se Nostra Signora si mette il termometro



In cinque lustri di onorato servizio materno, Nostra Signora aveva lavato, stirato, rigovernato, comprato i libri di scuola, fatto ripetere la Storia e la Geografia. Persino lo Spagnolo e l’Inglese. Aveva fatto rammendi impossibili in stracci di tute, per accontentare il figlio nostalgico. Aveva lavato e asciugato, in tempo reale, “proprio quella maglietta” per il saggio di danza. Aveva accompagnato il cucciolo da quel compagno, anche se a quell’ora precisa doveva anche essere a scuola. Aveva adempiuto a tutte le sue funzioni di rappresentanza. Aveva persino fatto le conserve di pomodoro: perché era l’unico modo per fare mangiare la pasta al figlio mezzano, quando stava male.


Però capitava, ogni tanto, che Nostra Signora avesse la febbre.
Allora Nostra Signora era assalita da strani pensieri, da raptus improvvisi e inconfessabili: che qualcuno, magari, le portasse un succo di frutta. Che qualcuno, cucinasse, al suo posto. Che qualcuno togliesse i cerotti sporchi e le lamette pelose dal bagno. Che una mano garbata annaffiasse le piante. E togliesse calzini e pantaloni da terra, in alcune stanze.
Si sentiva tanto come Santiago, il vecchio pescatore de “Il vecchio e il mare”, che quando pesca l’enorme marlin, ripete sempre “Oh come vorrei che ci fosse il ragazzo … “
Ecco, avrebbe voluto una mano affettuosa. Qualcuno che apparecchiasse la tavola a calasse la pasta. E magari la convincesse a mangiare un pochino …
Prima o poi, questo piccolissimo appunto, al Creatore, l’avrebbe fatto: quando aveva creato le Madri, avrebbe dovuto crearle inossidabili, finchè c’erano ancora figli per casa.
O dotarle di un Angelo di riserva, custodito in una teca, sul comodino.
Da rompere, in caso di necessità.

sabato 20 agosto 2011

Nati stanchi




Il mezzano, sicuro, non poteva distrarsi: compreso com’era a lambiccarsi la mente per scoprire la fonte energetica sicura e rinnovabile.
La ragazza, aveva troppo da fare coi suoi passi di danza, i suoi studi da Dio (così li appellava la nonna) e lo smalto che doveva essere sempre impeccabile.
Il ragazzino aveva già fatto agli scout tutte le sue buone azioni.
Così, per tutti e tre, era sempre troppo faticoso togliere dall’apposito aggeggio quel che restava del vecchio rotolo di carta igienica … A volte, anzi, tali anime vuote stazionavano in numero incommensurabile, come in un Limbo incerto, sulla mensola del bagno.
Finchè una mano pietosa li traghettava alla loro ultima dimora: il sacco della carta riciclata. Distante tre metri dal bagno.
Troppo, per quei ragazzi cotanto impegnati.



mercoledì 17 agosto 2011

Terapia del desiderio







Martha Nussbaum Terapia del desiderio, Vita e Pensiero, Milano, 1998




Lo so: a volte mi faccio male da sola. Come quando ho deciso di iscrivermi a Filosofia. E di continuare a studiare, nonostante uscissi dalla banca alle sette di sera. Il fatto è che i libri esercitano in me un fascino strano: la speranza è trovare, nel cantuccio segreto di una pagina nascosta, una qualche risposta alle tante domande esistenziali di cui sono impastata.
Così, quando l’allegra brigata dei cenacolanti filosofici del martedì
[1], ha proposto l’acquisto e lo studio del testo della Nussbaum, non mi sono tirata indietro. Sebbene il testo costasse 35 € e constasse di ben 662 pagine …
Anche se sono ancora a un terzo della lettura – alle prese con il VI cap: la morte e la natura, viste con gli occhi del poeta latino Lucrezio – il libro non mi ha affatto delusa.
Intanto, anche se è un tomo filosofico (noi siculi diremmo “chiummu”), il testo è di lettura scorrevole. Oso dire che avverto la leggerezza della mano femminile della Nussbaum, che, sottolinea Giovanni Reale nell’introduzione, vuole dirci con semplicità che “molti dei pensieri dei filosofi ellenistici sono attualissimi e dimostra non solo la validità di certi loro problemi ma, in alcune pagine esemplari, fa ben vedere come certe analisi di quei filosofi gareggino addirittura con certe analisi di Freud e degli psicanalisti”.
La Naussbaum – è sempre Reale a evidenziarlo – sposa “la concezione (…) della filosofia come medicina per l’anima. Ecco la massima di Epicuro con cui viene richiamata questa concezione (…): E’ vuoto l’argomento di quel filosofo che non riesca a guarire alcuna sofferenza dell’uomo: come non abbiamo alcun bisogno della medicina se essa non riesce a espellere dal nostro corpo le malattie, così non abbiamo alcuna utilità della filosofia se essa non riesce a scacciare le sofferenze dell’anima”.
Filosofia quindi, nel mondo antico, e anche oggi, ci dice la Nussbaum, come cura e come pratica esistenziale.
E il desiderio, che c’entra? potrebbe obiettare giustamente qualcuno.
Ecco come risponde l’autrice: “La sfida della medicina consiste proprio nell’innescare una connessione fra i desideri e i bisogni più profondi delle persone e ciò che ha importanza per loro. (…) Lo stesso vale riguardo all’etica. Non possiamo indagare intorno al bene umano standocene alla sommità del cielo e, se lo facessimo, non troveremmo la cosa giusta. Le modalità della vita dell’uomo, le speranze, i piaceri e i dolori che ne fanno parte non possono essere lasciati a lato dell’indagine senza che questa diventi incoerente e senza scopo. Perché noi in effetti non cerchiamo ‘lassù’ la verità etica; essa è dentro la nostra vita di uomini, e la concerne.
Per cui, afferma convinta la Nussbaum: “ Sarà improbabile che arriviamo a cogliere questo qualcosa se ci stacchiamo completamente dalle aspirazioni, dai bisogni, dagli scopi che ci caratterizzano”.
E una delle molle ineludibili della vita umana è l’amore. A questo punto, vi lascio, ad esempio, alla lettura del quinto capitolo dal titolo intrigante “Oltre l’ossessione e il disgusto: Lucrezio e la terapia dell’amore”.
Con una raccomandazione: non tralasciate comunque di abbracciare chi amate, anche mentre leggete il libro …

[1] Le cenette filosofiche, rivolte soprattutto ai non filosofi di professione, si svolgono a Palermo il martedì alle 21 ogni quindici giorni. Dalle 20 e 30, per chi vuole, è possibile consumare un frugale pasto. Alle 21 inizia la discussione sulle pagine del libro in quel momento adottato che la volta precedente ci si è prefissati di leggere. Per informazioni si può scrivere a pietrospalla@tele2.it.

martedì 16 agosto 2011

Mare



Mare:
l'azzurro
delle tue onde
mi riempie di luce.
Accarezzami...

lunedì 15 agosto 2011

Lo scemo del villaggio

    Come ogni villaggio che si rispetti, anche quello della bimba piccina piccina aveva il suo “scemo”. Anzi, a dirla tutta, c’erano tante persone con una corda un po’ pazza nel cuore.
Un ragazzo dallo sguardo allucinato, che percorreva rumorosamente la gradinata di via Palermo, segnando con forza i suoi passi. Per rompere, senza preavviso, il silenzio di quel paesino urlando a squarciagola una canzone. Qual era il suo repertorio? Gianni Morandi, Adriano Celentano e Claudio Villa.
    Accadeva di giorno, accadeva di notte. Di notte anzi, il timbro robusto della sua voce si arricchiva di nuove sonorità, che echeggiavano sempre più gagliarde man mano che si avvicinavano alla casa della bambina. Per perdersi poi, a poco a poco, nel silenzio nero delle viuzze strette e tortuose. Quando la bimba tornava a mettere la testolina sotto le coperte.
    C’era poi chi, per ore e ore, camminava in silenzio su e giù per piazza san Michele, appoggiando il braccio, con ostinata convinzione, all’inferriata che circondava un lato della piazza: quasi a volere cercare qualcosa che lo sostenesse nel difficile compito di stare al mondo.
Ed ecco “Ciccu ‘u babbu”. Ciccu ‘u babbu indossava i vestiti logori e fuori stagione che gli dava la gente e aveva sempre in mano un bastone con cui percuoteva ossessivamente una fontanella, una panchina, un sasso incontrato per strada. Qualsiasi cosa che producesse un suono sordo e ritmato, quasi un oscuro richiamo del quale lui solo conosceva il senso nascosto. Ciccu, era chiamato ogni tanto per trasportare mobili o spostare pesanti fardelli, lavoro ricompensato con un piatto di pasta o un vestito nuovo.
Pareva proprio non capisse niente, Ciccu u babbu.
Tranne guardare in modo fisso e insistente le ragazzine e fare con la lingua o con tutto il corpo un gesto muto. Un gesto che mimava qualcosa. Ma questa cosa la bimba piccina l’ha capita molto più tardi. Quando ha visto Ciccu che lo rifaceva. Mentre lei era in balcone, tornata qualche giorno in paese, con mamma e papà.
 
   Pino Correnti e Nicola, anche lui “babbu”, vivevano invece nel paesino vicino. Nicola lu babbu, passava il tempo gironzolando senza meta per le vie del paese. Anche lui, ogni tanto faceva qualche lavoretto senza pretesa, ad esempio, consegnare le bombole a gas. Con la sua solita maschera malinconica ed ebete.
    Eppure una volta, il giorno di Pasqua, la bimba gli ha visto un sorriso più quieto e sereno. E sembrava che lei, lui, le campane che suonavano a festa, le rondini fresche di primavera, fossero felici tutti allo stesso modo. Quasi a pregustare la gioia inconfessata di una possibile resurrezione.

    Pino Correnti viveva in strada, in compagnia di alcune capre agghindate con nastri colorati, stoffa variopinta e tante campanelle. Lui stesso non si vestiva in modo molto diverso dalle sue caprette, che erano il suo nutrimento e la sua compagnia. Vagava con le caprette per le vie del paese, con un’aria fiera e altezzosa.
Dormiva all’aperto con le sue bestiole, o in un qualsiasi rifugio di fortuna.
Si diceva che fosse pericoloso. La zia di turno raccomandava a tutte le nipoti di starne alla larga. Ma la bimbetta era affascinata da quell’individuo speciale: che viveva per strada, faceva quello che gli pareva e non doveva rendere conto di niente a nessuno. Una volta, i suoi occhi azzurrissimi e lo sguardo curioso della bambina, si sono incontrati. La bimba era andata a comprare il pane e lui attraversava il paese, col suo gregge di pace. Gli occhi dell’uomo erano burberi e inaccessibili, ma niente affatto malvagi.

Forse fu allora che la bambina decise che un post su di lui, prima o poi, lo avrebbe scritto.


domenica 14 agosto 2011

Only you

     C’era una volta, in un paese lontano lontano, una bambina piccina piccina. Con dei ricciolini che stazionavano allegri sulla sua fronte.
     Questa bimbetta amava la musica. Ma, nelle sue stanze in penombra, la musica non era di casa: non un giradischi, o qualcosa del genere. C’era la radio, va bene. Che comunque ronzava soltanto notizie dal mondo. Infatti il papà di quella bambina i notiziari li ascoltava in ogni momento, con la stessa devota attenzione con cui un pio monaco attende ai suoi uffici liturgici.
    Quello stesso papà, anche se stonatissimo, stravedeva per la musica lirica. Ma la bimba non riusciva ad appassionarsi ai vocalizzi infiniti di uomini grassi e di donne soprano.
     Sua madre aveva una bella voce, ma cantava solo lugubri nenie, punteggiate da cenerentole irredente, orfanelli abbandonati o dal Tempo che dice: - Io mai, io mai, io mai ritornerò - . Se cambiava genere, era per intonare inni sacri: - Anch’io festevole corro ai tuoi piè, o santa Vergine prega per me -. Ma quella bimbetta biondina dagli occhi sgranati, non si rassegnava che l’universo vibrasse solo di melodie come quelle.
    Fortuna volle che, sotto casa, ci fosse una botteguccia. Piccina picciò. Con un ciabattino che, nelle belle giornate di sole, risuolava le scarpe e aggiustava tomaie proprio sull'uscio. E, guarda caso, su uno sgangherato treppiedi, in compagnia di martelli e sopratacchi, teneva una radio a transistor.
Da quella radiolina, a tutto volume e mescolate al controcanto della sua voce, la bimba ascoltava finalmente le canzonette.
    Oh Diana, Only you, Oh Carol, Le mille bolle blu le regalavano un' allegria festosa nella quale lei si tuffava, canticchiando a suo modo e improvvisando, senza alcuna vergogna, incerti passi di danza.
    Ora sì, era lieta e leggera: e intuiva, dietro a Only you, vaghi e frizzanti orizzonti di cui non riusciva però a tracciare bene i contorni.
    Ancora non poteva saperlo, ma per lei c’era già il rap del Cherubini e il ritmo stupendo di Bob Marley. 
    E, chi lo sa, persino un cavaliere che un giorno l’avrebbe portata a ballare....




venerdì 12 agosto 2011

La marcia Perugia-Assisi



Giornale telematico: TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO (N.644 dell'11 agosto 2011)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it


VERSO LA MARCIA PERUGIA-ASSISI. SETTE DOMANDE A MARIA D'ASARO:



- "La nonviolenza e' in cammino": Quale e' stato il significato piu' rilevante della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?
- Maria D'Asaro: Per la societa' italiana dei primi anni '60, ancora sorda ad aperture pacifiste e solidali, a mio avviso la marcia Perugia-Assisi ha costituito una sorta di iniziazione laica ai principi e alla pratica nonviolenta. Successivamente, la marcia ha continuato ad essere una sorta di fiaccola accesa sulla dimensione nonviolenta dell'azione politica. Ed ha avuto il merito di unire le anime pacifiste dell'Italia, in un amalgama ecumenico ed intergenerazionale.
*
- "La nonviolenza e' in cammino": E cosa caratterizzera' maggiormente la marcia che si terra' il 25 settembre di quest'anno?
- Maria D'Asaro: La scommessa sara' riempire lo slogan sempre attuale: "Per la pace e la fratellanza dei popoli" di contenuti adeguati ai bisogni della societa' multietnica di oggi. Dovremmo essere in grado di offrire aiuti nonviolenti e prospettive alternative ai popoli arabi che lottano contro strutture sociali e politiche retrive e semi-dittatoriali.
*
- "La nonviolenza e' in cammino": Quale e' lo "stato dell'arte" della nonviolenza oggi in Italia?
- Maria D'Asaro: Sinceramente non sono ottimista. Credo che la gran parte degli italiani confonda ancora la nonviolenza con la passivita', con la resa al potente di turno. Credo che la scuola dovrebbe fare di piu' per educare i ragazzi a prospettive ed azioni nonviolente. Le biografie di Gandhi, di Dietrich Bonhoeffer, di Franz Jaegerstaetter, di Aldo Capitini, di Marthin Luther King, di Lanza del Vasto - per citare solo alcuni profeti nonviolenti - dovrebbero essere inserite obbligatoriamente nelle lezioni di storia.
*
- "La nonviolenza e' in cammino": Quale ruolo puo' svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini, e gli altri movimenti, associazioni e gruppi nonviolenti presenti in Italia?
- Maria D'Asaro: Hanno un ruolo fondamentale: essere coscienza vigile e critica dell'immaginario collettivo e della prassi vigente, individuale e collettiva. Quello dei movimenti nonviolenti e' un compito difficile e impegnativo. Innanzitutto, dovrebbero avere la capacita' di parlare alle persone comuni: al fruttivendolo che ha si' e no la licenza media; ai ragazzi - del nord e del sud - stanchi, disoccupati e sfiduciati; alle donne abbrutite dalle imbonitrici televisive di turno. I movimenti nonviolenti devono trovare la capacita' e la forza di comunicare a tutti un messaggio di liberazione convincente. Nella consapevolezza che, statisticamente, i nonviolenti saranno sempre una minoranza esigua. Ma sono le minoranze attive - lucide, coraggiose, profetiche - che fanno la storia.
*
- "La nonviolenza e' in cammino": Quali i fatti piu' significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza?
- Maria D'Asaro: In Italia: la partecipazione attiva ai quesiti referendari e la vittoria dei "si'" ai quattro referendum; nel mondo, la voglia di liberta' in Tunisia, in Siria, in Egitto, in Libia.
*
- "La nonviolenza e' in cammino": Su quali iniziative concentrare maggiormente l'impegno nei prossimi mesi?
- Maria D'Asaro: Soprattutto in campo economico: i gruppi nonviolenti dovrebbero impegnarsi affinche' le persone diventino il fine dell'azione economica. Viviamo, purtroppo, in una societa' schiacciata sotto il peso dell'imperialismo economico capitalista, dove i lavoratori sono considerati merce e non esseri umani. Bisogna sconfessare la violenza implicita in questo sistema. Nonviolenza, visione decrescentista, rispetto dei diritti umani e dei diritti di tutti gli esseri viventi, prospettiva ecologista: dovrebbero essere gli ingredienti fondamentali di una politica autenticamente nuova e innovatrice.
*
- "La nonviolenza e' in cammino": Se una persona del tutto ignara le chiedesse "Cosa e' la nonviolenza, e come accostarsi ad essa?", cosa risponderebbe?
- Maria D'Asaro: Sgombrerei il campo da un equivoco di fondo: ribadirei, per prima cosa, che la nonviolenza non e' solo, banalmente, il rifiuto della violenza nelle relazioni umane. Ma e' soprattutto la fede nella profonda unita' del genere umano e nella possibilita' di una comunione e di una comunicazione autentica tra gli individui. Aggiungerei che la prospettiva nonviolenta e', forse, l'unica in grado di suggerire cammini nuovi e relazioni creative tra le persone, tra gli uomini e la natura, tra l'umanita' e una possibile dimensione spirituale. Indicherei la prospettiva nonviolenta come l'indispensabile chiave di volta per la fondazione di un rinnovato umanesimo, che progetti nuovi modelli di vita e una nuova etica della cittadinanza, basata su un rapporto armonico con la natura e con gli altri esseri viventi.

martedì 9 agosto 2011

Occhio per occhio, casa per casa



Dalla rivista "Cem Mondialità" - Maggio 2011 - una riflessione del missionario Arnaldo De Vidi.

Riflessione che apprezzo e condivido.


Dice un proverbio africano: «È per lo straniero che si uccide il vitello grasso. Se vedi uno straniero, consideralo come un re». Il principio dell’ospitalità fa parte del dna dell’umanità. Il diritto di cercare un luogo dove poter vivere è consacrato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
C’è poi il motivo religioso. Abitiamo il villaggio globale di cui Dio è «padre e capo-tribù». Lui vuole che noi, suoi figli, condividiamo spazi e beni.
Ma voglio dilungarmi su un terzo motivo. Il Talmud, un libro ebraico di 6 mila pagine, interpreta il detto «occhio per occhio, dente per dente» in una forma inedita: «Se tu accechi una persona, i tuoi occhi devono diventare i suoi occhi, cioè tu devi diventare la guida del cieco…».
Quanto al problema degli immigrati, e siamo al punto che ci interessa, vale il principio «casa per casa». Per secoli (e ancora oggi!) noi del primo mondo abbiamo distrutto la casa del terzo mondo, ora la nostra casa deve diventare la casa dei terzomondiali.

Sì, noi siamo stati «Gulliver» in giro per il mondo, rastrellando e portando a casa nostra quello che trovavamo. Poi abbiamo creato il patriottismo, col sacro principio «ius soli, ius sanguinis» che equivale a dire: «L’Italia è nostra, ce la siamo meritata e guai a chi la tocca».

Abbiamo abbellito il nostro giardino, facendo terra bruciata nel resto del pianeta, dove i poveri faticano a sopravvivere e da dove fuggono (come uno tsunami, disse con espressione infelice il nostro Presidente del Consiglio).

Adesso, in riparazione, dobbiamo aprire le porte a loro, ai terzomondiali.
Nella storia, la formazione degli Stati-nazioni è stata provvidenziale: noi italiani, a partire da 150 anni fa, abbiamo goduto d’identità, coesione e di un crescente welfare (che ora, in tempo di globalizzazione, dobbiamo difendere, perché minacciato). Ma la rigida mappa del pianeta in Stati-nazioni è stata fonte di guerre. Ed oggi in Italia il patriottismo è invocato per essere inospitali.


Giunge l’ora, ed è questa, in cui il patriottismo non è più una virtù.
Mai come oggi diventa stimolante il pensiero di Ugo di San Vittore:
Chi ama la sua patria è un uomo comune;
chi considera ogni terra come sua patria è già più saggio;
ma solo è perfetto chi si considera straniero ovunque.

sabato 6 agosto 2011

TRENITALIA




(Dedicato ai temerari che si avventurano su Trenitalia. E a un compagno di viaggio speciale)


Si informano i Signori viaggiatori che il treno Intercity proveniente da Reggio Calabria e diretto a Venezia arriverà al binario 4 anziché al binario 2. Al binario 2 arrivano solo i treni meridionali conformi alle quote di ingresso decise dalla Lega Nord.

- No, Signora, mi spiace: lei non potrà usufruire della riduzione del 50% prevista dalla Carta freccia. – Ma come: ho scelto di viaggiare di sabato anche per questo ….
- Signora, evidentemente non è stata adeguatamente informata. Per usufruire dello sconto avrebbe dovuto recarsi entro giovedì scorso al Luna Park della città più vicina, fare un tiro con l’arco e centrare il bersaglio.

Treni: Partenze/Departures

Roma, ore 8.30: 80 minuti di ritardo
Reggio Calabria, ore 8.45: Soppresso
Bologna, ore 9.00: Agonizzante, al binario 3
Palermo, ore 9,30: In coma profondo, al binario 7
Siracusa, ore 9.30: Morto: astenersi dalle visite. Non fiori, ma opere di bene.

Si ricorda ai Signori viaggiatori che i biglietti senza prenotazione vanno obliterati.
A causa del mancato funzionamento delle apposite macchinette, i viaggiatori dovranno provvedere personalmente a tale convalida, secondo le seguenti modalità: si prescrive la trascrizione a caratteri gotici dei propri dati anagrafici nel retro del biglietto. Si prega di utilizzare un pennarello azzurro, se uomini; di colore rosa, se donne. I transessuali, o coloro che dovessero essere al momento sprovvisti del pennarello appropriato, potranno eccezionalmente servirsi di un pennarello di colore blu o nero.

Nello scompartimento di seconda classe: solo tre posti occupati su sei, fa capolino una donna con bambino: - Vuole accomodarsi? – dice un gentiluomo alla donna. – No – risponde la donna concitata – Cercavo uno scompartimento vuoto: il bambino ha fatto la cacca e devo cambiargli il pannolino. Grazie, comunque: eventualmente ritorno.

Ci si scusa con i Signori viaggiatori per la sosta forzata di tre ore a Villa San Giovanni: senz’acqua, senza aria condizionata, senza personale di sorveglianza, con i cessi senza sicura e sporchi da far ribrezzo. Si prega di astenersi da lamentele, rimostranze o assurde pretese di rimborso biglietto: si ricorda che i treni diretti ad Auschwitz erano più disagiati.
E poi, nei Lager, si stava peggio.

Io non ho bisogno di denaro



Io non ho bisogno di denaro

Io non ho bisogno di denaro.

Ho bisogno di sentimenti,

di parole, di parole scelte sapientemente,

di fiori detti pensieri,

di rose dette presenze,

di sogni che abitino gli alberi,

di canzoni che facciano danzare le statue,

di stelle che mormorino all'orecchio degli amanti.

Ho bisogno di poesia,

questa magia che brucia la pesantezza delle parole,

che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.



Alda Merini

venerdì 5 agosto 2011

L’UOMO CHE ATTIRAVA I PAZZI



Succede che da Palermo, per qualche motivo, tu debba partire. Se non vai all’estero o a Bolzano, utilizzi il treno, meno energivoro dell’aereo. Ogni volta, però te ne penti: il bagno è senz’acqua e la porta non si chiude; l’aria condizionata non funziona; poi, senza una ragione precisa, stai ferma due ore a Villa San Giovanni. Allora prometti a te stessa che è l’ultima volta.
Ma poi ti rilassi guardando il tuo prossimo: le suorine di Madre Teresa e la promessa di Paradiso, nei loro occhi sereni; la signora un po’ grassa che ti snocciola due terzi di vita e, quando scopre che sei un’insegnante, vuole che convinci suo figlio a studiare di più; un uomo che ha girato un film con Giovanna Taviani e viene da Lipari. E sorridi per la dote che si vanta di avere: dice di attirare tutti i pazzerelli che sono nel suo raggio d’azione…
Maria D’Asaro
(Pubblicato su “Centonove” il 5-8-2011)

giovedì 4 agosto 2011

ACCOGLIENZA



Quando ero ancora un’alunna, il mio professore di religione, un cappuccino che parlava l’ebraico, una volta ha ribadito che sesso e religione sono le dimensioni di cui nessuno può fare a meno. Neppure i cosiddetti “pazzerelli”. Che, grazie a Franco Basaglia, consideriamo ormai per fortuna molto più uguali a tutti noi. A Palermo – ma forse succede in ogni città – capita spesso che una messa sia interrotta dall’ingresso di un “diverso”: ubriaco o fuori di testa che sia. Spesso, chi sta in chiesa guarda l’intruso con un certo fastidio, condito a timore e sorpresa e aspetta pazientemente che l’importuno se ne vada. E il lui o la lei, dopo uno sguardo accorato, quasi sempre va via, inghiottito dal buco nero da cui era venuto.
Chissà, forse gli astanti hanno perduto una buona occasione. Di guardarlo negli occhi. Di regalargli un sorriso. Di ascoltare le sue parole sconnesse. Di accarezzargli le mani.
Maria D’Asaro
(Pubblicato su “Centonove” il 29-7-2011)

Solo per oggi - Giovanni XXIII

Una splendida poesia/riflessione di papa Giovanni XXIII, che mi piace condividere.


UGUALI SE USIAMO LE STESSE PAROLE




Mentre leggo un libro nella splendida cornice verde e azzurra del Foro Italico, il mio sguardo incrocia tre ragazzi quindicenni, uno con la pelle bianca e due con la pelle scura. Gesticolano, ridono forte, celiano sulle loro – vere o presunte – ragazze. I loro commenti su amici e ragazze sono in perfetto italiano, farcito da colorite, tutto sommato gradevoli, espressioni dialettali. “Espressione orale scorrevole, lessico ricco, ampia la modulazione degli stili espressivi” – commenta l’insegnante che è in me.
E allora penso all’assurdo di politiche scolastiche miopi, mosse spesso da scarsa competenza o dalla paura dei troppi studenti stranieri nella scuola italiana. Invece qualsiasi percorso di inclusione sociale, il diventare cittadini maturi e consapevoli passa per il pieno possesso della lingua comune. Perché aveva proprio ragione don Milani, nella sua poco riletta “Lettera a una professoressa”: “E’ solo la lingua che fa uguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui”.
Maria D’Asaro
(Pubblicato su “Centonove” il 22-7-2011)