venerdì 30 settembre 2011

Piazza Guadagna

         Pare che circa due miliardi di persone, nel mondo, vivano in periferie disastrate, lontane dal cuore della città. A Palermo, le chiamiamo Zen, Sperone, Brancaccio.... Si dice: “Scendo a Palermo”, quando ci si muove dalla propria borgata a piazza Politeama.
       Gli alunni che abitano alla Guadagna vanno tutti male a scuola: i  fortunati arrivano alla terza media dopo anni di bocciature. Molti si perdono e nessuno li trova più. Nemmeno l’assistente sociale più in gamba. Si perdono perché il padre è in carcere; perché la madre non c’è e nessuno sa dove sia; perché padre e madre vivono una vita di stenti; perché la madre esce alle sette per fare le pulizie e la ragazzina deve badare al fratellino piccolo; perché padre e madre sono separati e nessuno dei due vuole occuparsi della figlia e comprare qualche libro.
        Forse c’è un maleficio nascosto, un filtro antiscuola, a piazza Guadagna.

 Maria D’Asaro  (Pubblicato su “Centonove” il 23-9-2011)


giovedì 29 settembre 2011

Storie per una buonanotte (II parte)

(seconda parte: continua)
La storia è una sorta di "luogo" in cui diventano legittime cose che non sempre (e non in ogni famiglia) trovano espressione. L´immaginazione e la fantasia, per esempio. Naturalmente siamo tutti contenti di sapere che i nostri figli possiedono una fervida immaginazione. Di solito, però, la incoraggiamo solo fino a un certo punto, finché non interferisce con il "corretto" svolgimento della loro – ma soprattutto della nostra – routine. Però ecco che grazie al racconto l´ordine del mondo si sfalda. E con l´approvazione dei genitori, oltretutto. La realtà nota, quella che i bambini spesso vedono rigida, limitante e arbitraria, comincia a disfarsi, a diluirsi in correnti fantastiche, leggendarie, oniriche. A un tratto tutto è possibile. E anche se la storia verte su argomenti concreti e familiari al bambino, spesso irradia la possibilità di un´altra esistenza, di un diverso modo di essere e di rapportarsi al mondo. La realtà percepita dal bambino è in ogni caso molto soggettiva, fragile, e lui deve compiere un grosso sforzo emotivo e mentale per adattarla e collegarla alle norme e alle regole dettate dall´ambiente in cui vive.

Poiché quelle norme e quelle regole spesso contraddicono le sue sensazioni di base, e talvolta lo opprimono e lo minacciano, il bambino prova un grande sollievo quando può "stemperarsi" nel mondo fantastico che il racconto propone. E se sente che anche i genitori – responsabili ai suoi occhi di far rispettare le leggi della realtà – possono essere suoi complici di questa "violazione", di questo slancio travolgente e spensierato, ecco che la sua esperienza si fa ancora più intensa. E naturalmente anche noi genitori possiamo sentirci liberi in momenti come quelli, farci coinvolgere, rivivere una sensazione dolce e agognata che pensavamo persa per sempre. Anche il linguaggio è una parte importante della "licenza" che la storia ci concede. Leggere ad alta voce ai bambini trasforma la lingua utilizzata nella storia – anche se semplice e quotidiana – in un qualcosa di diverso. Il bambino all´improvviso, anche senza capirlo, avverte che quelle parole sono la chiave di un´esperienza particolare, più "raffinata" di quella alla quale è abituato, dei soliti dialoghi con genitori e amici. E sviluppa una maggiore sensibilità anche nei confronti di un lessico nuovo, un po´ diverso da quello che conosce a casa e all´asilo.

Nostra Signora e il suo 29 Settembre

C’era un tempo in cui Nostra Signora non amava molto Settembre: in quel mese si era ammalato suo padre, aveva dovuto decidere in fretta quale lavoro lasciare, aveva salutato per sempre la sua sorellina.
Però, negli ultimi tempi, quel tempo dell’anno lo aveva rivalutato: è vero, qualcosa finiva, a Settembre.
Ma la sua luce finalmente smorzata, le nuvolette che celavano l’azzurro del cielo, gli scrosci di pioggia improvvisi, si sposavano meglio con la sua essenza: intessuta di chiaroscuri, di azzurro e di grigio, di atmosfere silenziose e soffuse.
E poi, un 29 settembre di un secolo fa, un piccolo fiume l’aveva inondata. Lei, neppure dieci anni, era diventata una donna. Col suo menarca. Lei, che sognava già il suo principe bruno.

mercoledì 28 settembre 2011

Storie per una buonanotte

David Grossmann è un autore che amo. Prima o poi avrà il Nobel, secondo me.
Ecco la prima parte di un suo scritto.
Qualche parola ai papà e alle mamme che hanno letto una storia ai loro bimbi. Ecco, avete appena finito di leggere un racconto ai vostri bambini, avete rimboccato le coperte e li avete salutati, separandovi da loro e dal mondo infantile che li avvolge. Non so se avete letto il racconto di buon grado, con gioia, pronti a tuffarvici insieme ai vostri piccoli. Forse avete faticato a liberarvi dai vostri impegni per sprofondare in un racconto per bambini per lunghi minuti. Come padre, ricordo casi simili.
Ma quasi tutte le volte che leggevo ai miei figli una favola della buonanotte avvertivo quanto quei momenti fossero speciali e diversi dal resto delle ore della giornata.Se durante il giorno un senso di "pragmatismo" impone a bambini e genitori l´obbedienza a un ritmo esterno, esigente e pressante (Fai questo, non far quello, perché l´hai fatto, mi avevi promesso che…, se non fai questo…) ecco che il momento della storia-della-buonanotte crea una specie di bolla di vicinanza e tenerezza nella quale le tensioni possono dileguarsi, svanire, e i due complici della storia – il genitore e il bambino – hanno l´occasione di raggiungere un luogo primario e profondo dentro di sé e anche dentro il legame fra loro.Il bambino è seduto o sdraiato sul letto, accanto alla mamma o al papà. Avverte il calore del corpo, l´odore del genitore. Nel momento in cui alle sue orecchie risuona quella voce particolare – "la voce della storia" – si prepara a passare a una realtà e a una dimensione differente: quella del racconto.
Per esperienza – essendo stato bambino e padre – so che già in tenerissima età i piccoli riconoscono che quello che il papà o la mamma stanno per raccontare è una storia, diversa da ogni altro genere di informazione che gli viene trasmessa. E quando raccontiamo una storia a nostro figlio, anche in noi qualcosa cambia: la nostra voce, il nostro intuito, il nostro modo di porci, l´atmosfera che creiamo. Il bambino lo avverte subito: qui si apre una nuova realtà, ha inizio una magia. E se per gran parte della giornata ognuno di noi si trova immerso nel proprio mondo, ecco che ora – insieme a nostro figlio – siamo invitati a entrare in un altro mondo che non è "solo del genitore" o "solo del bambino", ma è un luogo in cui entrambi godiamo dello speciale status di ospiti, di turisti in viaggio.
(continua)

L'Amaca

(Condivido quanto scritto da Michele Serra su "La Repubblica" oggi)
Pure se da un pulpito molto precario (sono il classico relativista etico), faccio parte del folto gruppo di italiani che avevano facilmente colto già sul nascere, nel potere berlusconiano, quei tratti smodati e quella mancanza di misura che il cardinale Bagnasco ha infine denunciato, suscitando grande fragore mediatico.
E' strano: almeno in teoria, il vaglio morale della Chiesa dovrebbe essere ben più ristretto e severo di quello della gente come me, che non promulga codici di comportamento sessuale né saprebbe indicare Modelli di Famiglia maiuscoli come quello vidimato dal cattolicesimo romano.
Evidentemente, non essendo sospettabile che cotanta autorità morale colga lo scandalo con clamoroso ritardo rispetto a noi dilettanti dell´etica, dobbiamo dedurne che altri impedimenti hanno suggerito a Roma di tacere per tanti anni quanti ne sono bastati, a Berlusconi, per dare a bere a un sacco di italiani che lui governava nel nome dei valori della Famiglia. Sono, questi impedimenti, affare interno della Chiesa. Ma rendono difficile da capire, per quelli come me, l´entusiasmo che ha accolto le parole di Bagnasco, essendo quelle stesse parole, o parole molto simili, già state dette e scritte infinite volte da infiniti altri.
Ben prima di lui.

martedì 27 settembre 2011

Almanacco del secolo scorso

La notizia e’ di qualche giorno fa.
E, anche se è solo una notizia scientifica, è di quelle che bucano il video: pare che, nell’universo, ci sia qualcosa di più veloce della luce, che pure si muove alla ragguardevole velocità di 300.000 km al secondo: i neutrini. Particelle prive di carica e di massa, viaggiano più veloci della luce di ben 6 km. al secondo.
Tempo e spazio sono le categorie fondamentali in cui “navighiamo” noi essere umani.
Muovendoci con tempi un poco più lenti di quelli dei neutrini.

C’era un tempo, addirittura, in cui la Rai dava l’ora esatta.


L'almanacco del giorno dopo



Le previsioni del tempo


Musiche che ci hanno cullato e accompagnato, un secolo fa...



venerdì 23 settembre 2011

SU TRE ZAMPE

Un cane randagio, dal mantello bianco e rossiccio, con  costole a vista e occhi nocciola stupendi, mi segue dall’ospedale di Villa Sofia a un parcheggio di fortuna. Dove il posteggiatore abusivo incassa la mancia di rito. E mi dice: “Pure zoppo, è ‘stu cane … Non solo è digiuno,  non solo sta ‘o friddu e all’acqua … ma pure su tre zampe deve stare. Duluri su duluri… Ma chi senso avi, signù?”  Sto zitta e annuisco, ferma davanti alla portiera della macchina. Incoraggiato dal mio sguardo, il posteggiatore continua: “Accussì è per i cristiani: va bene che Biagio Conte dà un piatto di pasta: ma ci vuole anche un letto. E assistenza. E magari un contorno…” Continuo: “ Anche un poco di aiuto. E rispetto”. Poi dico solo a me stessa: “E qualcuno che ti abbracci, la sera. Dopo avere preparato una ciotola calda di riso”. “Non è vero,  Signù?”

Maria D’Asaro  (Pubblicato su “Centonove” il 23-9-2011)

mercoledì 21 settembre 2011

Autunno


La poesia di Cardarelli che la canzone di Guccini non sono il massimo dell'allegria.
Ma, a mio avviso, hanno una loro crepuscolare bellezza.
Buon cambio stagione!






Autunno
Già lo sentimmo venire
nel vento d’agosto,
nelle piogge di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora che passa e declina,
in quest’autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.


                                                                                                     Vincenzo Cardarelli

martedì 20 settembre 2011

101 Storie: mercatino batte scuola 2 a 0

Cinque anni di distanza, l’uno dall’altro. Due storie scolastiche e umane assolutamente parallele. Una doppia sconfitta bruciante sulla quale ancora mi interrogo.
Venne prima Luca: ingresso di basso profilo. Il problema grosso furono subito le assenze. Telefono a casa: risponde la madre: - Professoressa, abitiamo a Ciaculli: io non ho macchina, e l’autobus a volte salta una corsa. – Dico che mi dispiace, ma  Luca non può perdere l’autobus tre giorni su sei. La signora promette maggiore collaborazione. Ma la situazione è sempre la stessa: Luca viene poco e studia ancor meno. Bocciato.
L’anno dopo mi riprometto di fare di più. Colloqui con Luca. Telefonate assillanti alla sua famiglia. Tutoring stretto di alcuni docenti. In qualche modo, Luca passa in seconda.
A inizio d’anno, subito due mesi ininterrotti di assenza. – Che succede, signora? – Luca è ricoverato, ha una bronchite.- Appena le è possibile, mi consegni il certificato. –
Il certificato non verrà mai consegnato. Luca rientra a singhiozzo. Le motivazioni delle ulteriori assenze sono poco credibili. Qualcuno sussurra che ormai lavora in un mercatino.
Luca non ha neppure quattordici anni. La scuola è per lui un diritto e un dovere. Lo ribadisco alla madre. La situazione non cambia. Segnalo la frequenza irregolare ai Servizi sociali.
Che fanno una visita domiciliare, a fine anno scolastico. Quando però l’esito positivo è ormai compromesso, anche perchè Luca avrà frequentato si e no quattro mesi in totale: – Ma l’anno prossimo sarà tutta un’altra musica -  promettono all’unisono genitori e assistente sociale.
Ecco di nuovo Luca in seconda. Adesso, ovviamente, c’è un nuovo problema: è alto un metro e settantacinque, ha gli ormoni a mille, fatica a trovare un contatto con professori e nuovi compagni.
I colloqui con i genitori – Professoressa, lo faremo venire – I blandi ammonimenti di un’assistente sociale: - Il ragazzo è in obbligo scolastico: dovrò scrivere in Tribunale? – I timidi tentativi di recupero di qualche insegnante, purtroppo non sortiscono a niente.
Alla fine dell’anno il ragazzo compie sedici anni. Di nuovo bocciato; anche l’assistente sociale non trova soluzione diversa dell’iscrizione a un corso serale.
Il problema è che nessuno controlla se poi, il corso serale, il ragazzo lo frequenti davvero.
A volte lo faccio io, d’iniziativa. Ma non perché mi competa. Non ci sono i corsi di educazione per gli adulti nella mia scuola e quindi il tutto è fuori dalla mia sfera di competenza. Lo faccio così, per coscienza, perché vorrei, sino a quando ne ho la possibilità, dare una mano e una spinta, a questi ragazzi.
Nel caso di Luca,  non sono riuscita a sapere se al corso serale ci sia andato. Forse si, ma poi lo ha lasciato a metà.
Quello che so è che un anno dopo venne Simone, il fratello più piccolo. Che, a parte gli occhi celesti - quelli di Luca erano nocciola scuro – del fratello era veramente la copia: capelli ricci e castani, grandi occhi espressivi e mobilissimi, con un fondo di perduta e straniante tristezza.

La vicenda scolastica di Simone fu, praticamente, fotocopia di quella di Luca.
Giuro che mi sono impegnata molto di più: perché Simone frequentasse (telefonavo, con ostinata regolarità, due volte a settimana), perché i docenti fossero il più accoglienti possibile, perché avesse i libri di testo.Durante un colloquio, quando Simone era, per la seconda volta, in seconda, dopo aver ripetuto anche lui due volte la prima, gli chiesi: - In che cosa non siamo stati capaci di darti una mano? – Lui mi regalò uno sguardo dolcissimo e rispose, convinto: - Professoressa, voi non fate niente di sbagliato … è che a me la scuola non piace. –
Ecco, quello era il punto. Ai suoi genitori, della scuola non importava un bel niente. E noi non siamo stati capaci di fare scattare, in Luca e Simone, quella preziosa scintilla. Che è la curiosità per lo sguardo diverso sul mondo, la possibilità che la cultura ti regali una marcia in più, che ti faccia sentire più uguale e diverso.
Perché è sulla didattica, che ci giochiamo la nostra partita.
La Storia: non da pagina x a pagina y e bla bla bla. Ma storie di donne e di uomini. Di lotte per la dignità, per la vita, per una faticosissima giustizia sociale.
 La Scienza: passione e interesse per come è fatto il mondo, dalle galassie alla cellula. Sapere che la conoscenza è potere, è guarigione, è un’infinita possibilità.
La Musica: la magia di trarre armonie da una chitarra, da un piano, da un flauto, di comprendere note che ti fanno volare lontano. E l’Arte: la capacità di “leggere” un quadro, di scoprire che sai riprodurre Van Gogh o un’anfora greca.
La Geografia: scoprire le mille possibilità di questo pianeta …
E poi Matematica, Inglese, Spagnolo: il dono stupendo di comunicare in lingue diverse …
Non ci siamo riusciti. A fargli sentire che gustare una poesia è un dono prezioso. Che riflettere su noi stessi ci rende più umani.

Simone lo vedo al mercatino rionale, vicino casa. Vende cosmetici e intimo. Un giorno ho comprato una crema, alla sua bancarella. Con fare serioso, ha parlottato al suo capo. Poi, con un largo sorriso: - Per lei lo sconto di un euro. – L’ho ringraziato. Mi sono sentita veramente piccina.
Io ho fallito, con lui e suo fratello. Lui trova la forza di “raccomandarmi” e farmi lo sconto.
Grazie, Simone. Nella partita della vita, il debito è mio.

venerdì 16 settembre 2011

BRAVI & BREAKFAST


Metti, all’interno dello splendido parco dei Nebrodi – vicino al lago Biviere e alle cascatelle del Catafurco - un suggestivo paesino della Sicilia, decimato dallo spopolamento e pieno di inutili casette vuote. Metti un pugno di ragazzi che in quel paesino vogliono continuare a vivere. Magari guadagnando qualcosa, senza inseguire la vana chimera del posto fisso.
Così si inventano un lavoro: trasformare le case dei parenti emigrati in essenziali Bed and Breakfast, dove i palermitani (e non solo) possano trovare un’accogliente dimora. Il manipolo di intraprendenti riesce persino a creare, nel Bosco Soprano, un Parco Avventura, con percorsi acrobatici, arrampicate sportive e varie escursioni. Il tutto a 4 km. dal ridente paesino.
Allora, per una volta, dei tuoi conterranei sei fiera: ragazzi che esaltano la loro terra, a cui aggiungono il valore aggiunto della loro inventiva.
E’ successo davvero: in provincia di Messina, a Longi, 600 metri sul livello del mare.
(Pubblicato su "Centonove" il 16.9.2011) Maria D’Asaro

giovedì 15 settembre 2011

Wild World

Una vecchia canzone di Cat Stevens, ora convertito all'Islam. Il video è del 1971.

Don Puglisi: un modello di cristiano che dà fastidio

(Ecco cosa ha scritto il mio amico Augusto Cavadi su "La Repubblica" edizione di Palermo, di ieri. Parole che, purtroppo, mi sento di condividere)
Il diciottesimo anniversario dell´assassinio di don Pino Puglisi, compiuto il 15 settembre 1993, sarà celebrato con una serie di manifestazioni religiose, civili e culturali di qui alla fine del mese. Buon segno: a differenza di altri casi, a questo testimone di giustizia in terra di mafia è stato risparmiato il seppellimento nell´oblio. Sarebbe però triste se l´anniversario fosse occasione soltanto di encomi più o meno retorici, non anche di approfondimento della vicenda del parroco-professore palermitano.
Il dato oggettivo da cui partire è che la causa di beatificazione del parroco di Brancaccio è bloccata negli uffici romani della Congregazione dei Santi. Per certi versi, nulla di straordinario: i tempi della Chiesa cattolica non sono misurabili con gli orologi della storia profana. Ma, per altri versi, questa lentezza - in epoche di "santi subito" - è preoccupantemente significativa. Secondo indiscrezioni attendibilissime, infatti, i vertici della Santa Sede temono ciò che tanti cattolici di base sperano: che una canonizzazione di don Pino Puglisi trasformi il suo atteggiamento nei riguardi dei mafiosi da opzione individuale e opinabile in modello normativo per tutti i fedeli (sacerdoti o laici che siano).
Insomma: che il ripudio esplicito, concreto, effettivo, quotidiano del sistema mafioso entri ufficialmente nella lista dei doveri morali del cristiano in quanto tale (e non soltanto in quanto cittadino). Se riflettiamo sulle ragioni di questa resistenza culturale a proclamare "martire cristiano" una vittima di mafia, dobbiamo riconoscere che non sono ragioni deboli e che solo a una lettura superficiale possono risultare da azzeccagarbugli. Infatti - per dirla telegraficamente - i responsabili della Congregazione vaticana sono troppo acuti per non vedere che l´eventuale inserimento di questo prete di periferia nel calendario dei santi martiri da venerare potrebbe innescare un sommovimento a valanga sia dal punto di vista teologico che dal punto di vista etico.
Dal punto di vista teologico, infatti, si rischierebbe di mettere in crisi la figura del cristiano come passeggero occasionale in questo mondo e di rivalutare la sua responsabilità evangelica nei confronti delle ingiustizie sociali, delle strutture oppressive e di ogni situazione di violenza sistematica. Si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione culturale: liberare la mentalità cattolica dal platonismo e restituirla alla mondanità, alla storicità dell´ebraismo (di cui Gesù è stato figlio esemplare). Sarebbe molto più radicale che chiedere ai vari Mastella, Casini, Romano di sostituire la propria concezione di politica - come calcolo degli interessi clientelari e tattica elettorale - con la concezione di cattolici democratici quali Sturzo, La Pira, Dossetti.
Anche dal punto di vista etico - o come si voglia denominare il piano degli atteggiamenti quotidiani, dei comportamenti pratici - un´eventuale canonizzazione di don Pino Puglisi potrebbe scardinare un secolare orientamento della Chiesa cattolica nei confronti di organizzazioni criminali o politiche avverse: l´orientamento, intendo, a condannarne i princìpi e a stigmatizzarne le manifestazioni eclatanti, ma a cercare dei compromessi che rendano possibile la convivenza. È avvenuto con il fascismo, con il nazismo, con il franchismo, con tante dittature latino-americane; sta avvenendo con il berlusconismo e con il leghismo. Anche con il sistema di potere mafioso è avvenuto qualcosa di simile: condanne sempre più dure della mafia che spara, che uccide, che sequestra bambini, che fa esplodere le bombe; rapporti sempre meno conflittuali con la mafia che corrompe le coscienze, distribuisce favori, compra le preferenze elettorali, ricicla denaro sporco, si appropria delle risorse finanziarie pubbliche, deturpa le coste, inquina le acque.
Don Pino Puglisi non si limitava a partecipare, con i suoi ragazzi, ai cortei di protesta per le stragi di Capaci e di via D´Amelio, ma affrontava a muso duro i politici democristiani che si materializzavano in parrocchia quando c´era da distribuire regalucci ai bambini, soprattutto in periodi di elezioni, chiedendo loro pubblicamente di fare invece il loro mestiere di politici, attivandosi perché Brancaccio avesse una scuola, un centro sportivo, una biblioteca e perché ai fedeli dei Graviano fossero sottratti i magazzini - abusivamente occupati - di via Hazon.
Che questa antimafia praticata nei giorni feriali, più che proclamata dai pulpiti domenicali, non piaccia alle gerarchie cattoliche, non mi sembra poi così incomprensibile. Don Puglisi sarà mai un santo martire "ufficiale"? Non lo sappiamo. Forse, come in altri casi della storia bimillenaria della Chiesa cattolica, le perplessità nei piani alti potranno essere vinte dalla spinta popolare: quando per i cattolici palermitani don Pino diventerà di fatto, senza attendere incoronazioni solenni, un modello di cristiano da venerare. E, soprattutto, da imitare.

martedì 13 settembre 2011

La foto crudele

"Sei pronta? Vedrai che bella foto ti faranno! Saliamo in piazza, un bel sorriso e...tac!" E tu, col vestitino bianco a pois rossi e il tuo sorriso dolce e fiducioso, saltellavi per i gradini, attratta dal miraggio del flash.
Io però lo sapevo: a tre anni e mezzo, senza preavviso e con poco anestetico, ti aspettava una dolorosa tonsillectomia.
Io lo sapevo: non so se si fossero presi la briga di dirmelo o se avevo intercettato parole, preparativi, premura di parenti e vicini..
Io lo sapevo: non so cosa avrei fatto per strapparti a quella doppia crudeltà. Intuivo che la menzogna era ancora peggiore della pur traumatica operazione. La mia rabbia e la mia sofferenza erano soffocate dalla mia impotenza di bambina di cinque anni.
Non ho potuto fermarli: eppure tu eri la sorellina piccina che avrei voluto difendere da tutti i mali del mondo.
Il mal di testa era atroce. Ma no, quella TAC di controllo, proprio non volevi farla. Poi: "Incredibile...il triplo di quello che abbiamo asportato...il ventricolo è già fuori asse...”
Avrei mai potuto salvarti? Che potevo fare contro quest’ultimo terribile mostro, il cui solo nome ho paura a pronunciare?
Se, anziché a millecinquecento chilometri, fossimo state vicine, avrei forse intuito che qualcosa non andava e ti avrei forse costretta a fare un controllo. Cosa non facile, visto che eri un medico …
" Vorrei che consultassi un oncologo, magari a Padova, c'è un centro specializzato..." Non mi costringere a fare la chemio, è contro i miei principi…” “Dimmi almeno da chi ti stai facendo seguire..”
Ti sei spenta lentamente, in modo crudele, aspettando un miracolo che non ci è stato donato. Te ne sei andata due giorni dopo il crollo delle Twin Towers: quella tragedia e la tua uscita di scena sono legate, dentro di me, da un invisibile filo di dolore.
Mi rimane la nostalgia della tua delicata presenza, fragile e fortissima insieme.
Mi rimane il dolore e il rimorso per non aver avuto la forza di starti accanto, nei tuoi ultimi quattro giorni...
Ma so che tu mi vuoi bene lo stesso, sorellina speciale.

domenica 11 settembre 2011

101 Storie/L'eccezione: Una Belle in carne e libri

Domani inizia un altro anno scolastico.
Ecco un'altra delle mie 101 storie: spero di incontrare tante Luise/Belle nelle scuole del mondo.
Quando i ragazzi parlano con me, c’è sempre un motivo non lieto: le assenze di troppo, il profitto scadente, un problema in famiglia, la brutta lite con un compagno, una visita all’Asp da mettere in conto, una possibile segnalazione agli assistenti sociali.
Ma capitano, a volte, delle eccezioni: la ragazzina che, trafelata e piangente, mi singhiozza davanti perché l’amica del cuore le ha soffiato il fidanzatino; il ragazzo col piglio assetato di sangue perché un compagno gli ha detto “parole di madre” (“tua madre è una pulla”, per essere espliciti); l’alunna che deve raccontarmi a tutti i costi lo screzio che avuto con un’insegnante.
Confesso che, in questi casi, ho un grosso dilemma: se è giusto che io dedichi loro del tempo. Mi spiego meglio, a scanso di equivoci: so bene che, anche se io la considero oggettivamente un’inezia, per il ragazzino che ho di fronte si tratta di una faccenda seria. Solo che il mio tempo è una copertina davvero piccina: se la uso per lui, ne rimarrà un poco di meno per i ragazzi che hanno bisogno di scaldarsi davvero.
E allora, “toccata e fuga” per questi colloqui leggeri: un ascolto veloce, la certezza che i ragazzi ce la possono fare da soli, un buffetto metaforico sulla guancia e: - Adesso, in classe, la prof. sta spiegando … -
Una volta, tre ragazze “normali” mi hanno persino commosso. Tutte e tre, terza media. Bussano alla mia porta ad aprile o a maggio, alla vigilia del congedo definitivo dalla scuola media.
Simona: dice di volere un colloquio, così: - Perché non sono mai venuta, in questi tre anni, e volevo provare l’emozione di parlare un pochino con lei, almeno una volta, prima di andare via. – Eccola che mi racconta, un po’ a braccio, spizzichi del suo vissuto scolastico e della scelta della sua nuova scuola.
Arianna mi parla della sua voglia di fare solo la segretaria, in uno studio: - Mi piace prendere appunti, rispondere al telefono … cose così. – E dei suoi che l’hanno costretta a iscriversi al liceo psico-pedagogico.  – Magari potrai essere una segretaria efficiente, con tanto di diploma – le dico, ipotizzando una possibile una mediazione.
Poi è venuta Luisa: occhi sgranati, intelligenti, profondi, tranquilli. La figlia che tutti vorremmo avere. Mi narra, in due battute, i suoi tre anni di scuola: si è sentita, talvolta, diversa dalle sue compagne: perché lei non mette, nelle unghie, quello smalto vistoso. Mentre lei parla, risento Albachiara del Vasco nazionale: – Ti vesti svogliatamente, non metti mai niente che possa attirare attenzione … un particolare … solo per farti guardare … E con la faccia pulita cammini per strada mangiando una mela coi libri di scuola,  ti piace studiare … non te ne devi vergognare».
Perché a lei piace studiare, davvero. E a lei piace tanto anche leggere.
Ecco, allora, il motivo per cui è venuta da me: vuole che io le dia qualche titolo. – Come mai non lo hai chiesto alla tua docente di Lettere? – le chiedo un po’ sottovoce – Veramente, professoressa, non c’è tantissimo feeling tra me e l’insegnante di Lettere … e poi credo che i suoi libri mi piaceranno di più. – Incasso in silenzio, senza alcun commento. Le suggerisco, così quasi a saltare: Lessico famigliare, Il Sergente della neve, Marcovaldo…  Le prometto che, tra qualche giorno, le consegnerò una lista esauriente.
Le ho dato la lista. Sedici libri. Ci siamo salutate con un convinto sorriso.
A volte, questa splendida Belle mi ritorna in mente. Allora, formulo una strana preghiera: che  cammini ancora per strada con la faccia pulita. Con qualche libro sottobraccio. E una buona dose di gagliarda speranza nel cuore.

giovedì 8 settembre 2011

Nostra Signora e il Figlio Scienziato

     Nostra Signora l’aveva capito che era un bambino speciale: a tre anni contava le carte e faceva scopa, magari col sette bello. E poi, mentre lei ci pensava un pochino per sommare 45 e 18, lui addizionava, in un baleno, 458 e 729. Quando andava ancora all’asilo.
Fino in terza media - teorema di Pitagora, assi cartesiani, numeri negativi – nostra Signora riusciva a seguirlo e, se era il caso, a studiare con lui.
Allo Scientifico, la faccenda diventò più complessa: logaritmi, equazioni di non so quanti gradi, derivate. – Derivate da che? – azzardò un giorno la madre, mentre sminuzzava in modo imperfetto una lattughina. Il Figlio la fulminò con uno sguardo.
Da allora, a cena, la sera, il Ragazzo cominciò a discettare col padre e il fratello minore: la serie di Fibonacci, la relatività di Einstein, il ciclo di Carnot … E a proporre complicati quesiti: - Quali sono le sette misure fondamentali dell’universo? Mettete in ordine di grandezza: molecola, gene, atomo, nucleotide, quark e Dna. Che cosa è il numero di Avogadro? Se il nero è l’assenza di onde elettromagnetiche, perché lo vediamo? -
Nostra Signora si sentiva peggio di una badante polacca che non capisce quello di cui discutono le persone che serve.
Poi il ragazzo si diplomò. Dopo aver bistrattato anche i suoi professori. Che lo licenziarono con cento/centesimi nonostante, talvolta, il Ragazzo sbadigliasse senza ritegno mentre spiegavano. Primo in tutti i test d’ammissione, approdò quindi a Ingegneria dell’Energia, borbottando perché l’ordinamento vigente gli impediva di studiare anche Fisica e Matematica.
Oramai, tra il Figlio scienziato e nostra Signora, la distanza era davvero abissale.
Il Ragazzo, quella madre umanista, da liceo classico e da inutile laurea in filosofia, la strapazzava. Mentre stendeva il bucato, pretendeva che ricordasse i tre principi della termodinamica. O che gli esponesse, per filo e per segno, che cosa succede ai palloncini di elio, quando salgono in cielo. Se lei rispondeva:- Prima o poi incontrano un angioletto e gli chiedono come vadano le cose, lassù – lui si adirava davvero. Lei doveva spiegare se scoppiano o meno. E come. E quando. E perché.
Ed esigeva che lei sapesse che un nanometro non è l’unità di misura dei sette nani, ma un millimetro diviso per mille e poi ancora per mille: insomma dieci alle meno nove, hai capito?
E poi, se lei gli chiedeva di infilare un ago in una cruna per lei troppo sottile, lui sentenziava che la tridimensionalità è una fregatura: se ci fosse solo la bidimensionalità, non ci sarebbero, suvvia, questi errori di parallasse … E se viaggiavano insieme, quelli che per Nostra Signora erano dei semplici pali della luce, per lui erano strutture con i pali non a stelo unico e con conduttori disposti a triangolo equilatero per evitare fenomeni di induttanza obliqua.
Nostra Signora era ormai una madre sperduta. Si chiedeva dove fosse finito il bambino coi ricciolini così simili ai suoi, che rideva a crepapelle per una filastrocca nonsense….
Ma poi il Ragazzo chiedeva un pezzetto di pesca. E cantava a squarciagola sotto la doccia. E magari le diceva: -Buongiorno, signorina bella. –
Allora lei sperava un pochino.
Forse, insieme alla ricetta per capire l’universo, conservava il suo cuore di carne. Quel cuore che aveva rischiato di battere troppo presto all’esterno e che nostra Signora per trentanove settimane aveva custodito con cura dentro di lei. Si, quell'umanissimo cuore di carne, ce lo aveva, eccome!, anche lui.
    

mercoledì 7 settembre 2011

Se la scuola si rompe ...


Capita che vai in libreria. Compri il libro che hai in testa.
Poi ti concedi un giro tra gli scaffali. Sei colpita da un titolo: “La scuola s’è rotta”. In quarta di copertina leggi che l’autrice, la prof.ssa Mila Spicola, insegna Arte e Immagine in una scuola della periferia di Palermo. Scopri che quella scuola è a due passi dalla tua.
Compri il libro e lo leggi d’un fiato. Nelle varie lettere che la professoressa Spicola scrive – all’illustre collega Leonardo Sciascia, ai ministri dell’Istruzione e dell’Economia, a don Milani, all’ultimo della classe, alla collega dal registro perfetto… - c’è il suo urlo di dolore sulla scuola italiana. Su quella siciliana e palermitana, in particolare.
L’urlo di dolore di una docente che non si rassegna alla scure scriteriata dei ministri/boscaioli ciechi, che tagliano due ore di Italiano e una di Tecnologia ed eliminano le risorse per recuperare i bambini in difficoltà; l’urlo di dolore di chi non accetta che gli alunni in classe possano diventare fino a trenta, trentatre; l’indignazione di chi assiste quotidianamente al bivacco di ragazzini divisi in altre classi, quando un docente è costretto ad assentarsi, vista l’impossibilità di ricorrere a supplenti per mancanza di fondi.
La professoressa Spicola ci ricorda poi che, nell’Unione Europea, siamo tra i paesi col numero minore di laureati e con la maggiore percentuale di abbandoni scolastici precoci; che, sempre in Europa, siamo uno dei pochi paesi che non investe in cultura, ricerca e innovazione; denuncia inoltre che a Palermo, su 281 scuole primarie e secondarie di primo grado, due su tre non sono a norma; lamenta infine l’assoluta assenza di mobilità sociale, in Sicilia: dove un ragazzino è costretto a fare lo stesso lavoro del padre.
Ovviamente, la professoressa chiede con forza che la scuola non vada alla deriva. Che la politica cambi rotta: che nella scuola investa, invece che tagliare alla cieca.
Ma Mila Spicola non auspica gesti di liberazione velleitaria, quasi di cinematografica memoria, non invita nessuno a salire in piedi sui banchi.
Nella lettera a Roberto, il primo della classe, la collega ribadisce una cosa importante: -
Sappiamo bene io e te che la vera rivoluzione da noi, il vero atto rivoluzionario è stare seduti. Altro che in piedi. Il coraggio di fare il proprio dovere e stare al proprio posto, io al mio e tu al tuo, è incommensurabilmente più scomodo dello stare in piedi allegramente.(p.69)
L’unica angolazione diversa per guardare il mondo che vi serve è da seduti nel banco. E ci metto la mano sul fuoco di quanto ne sono certa. Io mi sono fatta l’idea che devo darvi ciò che vi manca. E a voi non manca la libertà. No,no. Non manca il romanticismo. Non manca la fantasia.
La maggior parte di voi, lo sai bene, se ne sta da solo tutto il pomeriggio, bene che gli vada davanti al pc, benino davanti alla Tv, qualcuno con i nonni e i più, ahimè, per strada. Attaccati al cellulare ventiquattr’ore su ventiquattro, come se fosse ormai parte del vostro corpo. Altro che “attimo fuggente”… Liberi, liberissimi. Così liberi da farvi venire a noia cotanta libertà. (…) Altro che libertà. A voi manca un po’ di sano carcere. Ops, non dovrei dirlo per non offendere qualcuno dei tuoi compagni, ma mi è scappato. Vi manca tutto il resto: vi manca il rigore, la disciplina, il rispetto delle regole. Vi manca la comprensione stessa di quelle regole. Vi manca la cosa più importante: la consuetudine a quelle norme. (p.68)
Per cui mi tocca non saltare sul banco, per essere diversa, per farvi vedere il mondo da una prospettiva diversa; mi tocca sedermi e star ferma. Sedervi e cercare di togliervi un pezzettino almeno di quella libertà che vi ubriaca. Mi tocca dirla la parola maledetta: manca il rigore (p.69).
Perché a te tocca sapere comunque di Platone e di Aristotele, come di Heidegger o Hanna Arendt, come di ogni altra cosa che ti affini le armi per resistere (…). Ti servono sapienza, eleganza e bellezza di ragionamento maggiori se devi rimanere, per contrastare tanta bruttezza e ignoranza (p.72).

Ma se i ragazzi bisogna farli stare seduti, quando è giusto che non stiano in piedi, è la politica, ribadisce la professoressa Spicola, a doversi mettere in piedi: perché la Scuola pubblica non continui a essere la scuola dei Divari, delle Distanze, delle Diseguaglianze. Immense, gigantesche a volte. Sociali, territoriali, tecnologiche. In cui Nord e Sud non sono mai stati così lontani, le competenze mai così dispari, e dove la famiglia di provenienza, la scuola di riferimento, il suolo in cui si nasce condizionano tutto. Cioè il futuro di un giovane. La sua chance o meno di entrare nel mondo del lavoro, di crearsi una vita propria, di essere autonomo, protagonista (p.178).

Un solo, piccolissimo, appunto, alla mia valente collega. A volte si commuove troppo. Che è poi lo stesso affettuoso rimprovero che le rivolge il papà: - Non ti devi commuovere, devi raggiungere una distanza adeguata, sennò non sarai mai un educatore. La commozione, la troppa confidenza, non vanno bene (p.125,126)-
Cara Mila, tuo padre ha ragione: la nostra professione impone un certo distacco tra insegnante e alunni.
Però ti capisco, mia battagliera collega: visto che scuola e società chiudono per loro porte e finestre, i Tony destinati al carcere minorile, talvolta, verrebbe persino di portarseli a casa…

Carillon

Nei paesini dell’entroterra è più facile ascoltarla ogni giorno. Specialmente d’estate: nella tarda mattinata o nelle pigre ore dei pomeriggi assolati. Nella grande città, la avverti un po’ meno: la senti più netta, se sei in una periferia silenziosa. Ad esempio, a Palermo, in una traversa nascosta di via Oreto nuova. E’ la musica dolce e bambina di un carillon: proviene da un furgoncino, spesso colore pastello e con buffi disegni, carico di surgelati e gelati. Magari tu quei gelati non li hai mai assaggiati: non sai quanto costano, e neppure che gusto e che forma possano avere. Però hai potuto gustare, mentre torni da scuola o sonnecchi con le serrande abbassate, quel suono sapore di miele. E allora ti basta quella musica a rapirti in un mondo da favola: dove vincono i buoni e si vive felici e contenti. Almeno il tempo in cui durano le note del carillon.
Maria D’Asaro
Pubblicato su “Centonove” il 2-9-2011)