domenica 29 maggio 2011

NOI LO ASSOLVIAMO....



LUISA MURARO: SE LA MADRE DELLA BAMBINA
[
Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) il seguente articolo apparso sul quotidiano "Metro" del 26 maggio 2011 col titolo "Papa' di Elena da assolvere".)



Condivido la riflessione di Luisa Muraro.



Se la madre di Elena lo difende, noi assolviamo il padre. Parlo di quel pover'uomo che ha causato la morte della figlia da lui dimenticata all'interno dell'auto chiusa sotto il sole. Non e' il primo ma speriamo con tutto il cuore che sia l'ultimo. La paternita' come l'intendiamo oggi e' relativamente nuova e gli uomini la stanno imparando. Anzi, in parte, la stanno inventando; la maternita' infatti non e' un modello, e' altra cosa: biologica, potente e non imitabile.
Ci sono uomini che protestano perche', quando si separano dalla madre dei loro figli, la giustizia non considera i loro sentimenti paterni quanto quelli materni. La protesta e' sbagliata se si pretende la parita', che non esiste su questo terreno. Ma ha valore se quello che la protesta esprime non e' il possesso, non e' la ripicca, ma un serio impegno affettivo verso i figli. A questi padri si chiede solo una cosa, di mostrarlo. Come, per esempio? Rispettando, nella donna che non amano piu', la madre dei loro figli.
Una poetessa ha scritto, rivolgendosi a Dio: "Se tu fossi una madre..." Gli uomini si ispirano troppo a un Dio maschile. Ero in taxi quando la radio annuncio' che non c'erano piu' speranze di salvare la bambina Elena. Dopo un silenzio, scoppio' un contrasto tra me e il tassista, lui trovava che l'uomo fosse colpevole e andasse punito, io gli opposi che non era il caso di aggiungere castigo a castigo, lui di rincalzo a dire: poi dimentichera' tutto.

Pensai: dovremmo augurarcelo, ma non osai dirlo. E' stato allora che ho coniato quella frase, che suona come un principio da far valere nelle aule di giustizia: se la madre della bambina lo difende, noi lo assolviamo.

sabato 28 maggio 2011

A SENO SCOPERTO






Questa volta, la domenica mattina sull’autobus, non ci sono volti speciali: solo ragazzini con l’ipod, i pensionati, gli extracomunitari dagli occhi un po’ tristi: ormai con le stesse movenze e gli stessi pensieri dei palermitani, se non fosse per la loro pelle un tantino diversa.

E poi c’è una mamma.

Dai grandi occhi sereni. La pelle chiara la direbbe palermitana.

E’ seduta.



Ha in braccio suo figlio.

Che succhia il suo seno.

Per una volta, un seno mostrato non per solleticare la voglia di piacere o per pubblicizzare l’ultimo modello di reggiseno mozzafiato.

Un seno nudo solo per dare cibo, colore, conforto a un bambino.


Vorrei ringraziarti, giovane, sconosciuta mammina. Per il tuo gesto naturale e sereno. Che è cosa c’è di più antico e spontaneo che allattare un bambino? Forse, niente. Ma per Palermo è una cosa nuova.

Quasi un regalo, in questa città troppo spesso sconcia e violenta.

Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” il 27-5-2011)

domenica 22 maggio 2011

C'e bisogno - Gen rosso e Francesco Guccini

Una bella canzone del Gen Rosso (legato al movimento dei Focolarini, movimento cristiano ecumenico fondato dalla splendida Chiara Lubich) interpretata anche da Francesco Guccini.

Parole bellissime.
Buona domenica a tutte/i.

C'è bisogno di silenzio, c'è bisogno di ascoltare
c'è bisogno di un motore che sia in grado di volare.
C'è bisogno di sentire, c'è bisogno di capire
c'è bisogno di dolori che non lasciano dormire.
C'è bisogno di qualcosa, c'è bisogno di qualcuno
c'è bisogno di parole che non dice mai nessuno.
C'è bisogno di fermarsi, c'è bisogno di aspettare
c'è bisogno di una mano per poter ricominciare.
C'è bisogno di domande, c'è bisogno di risposte
c'è bisogno di sapere cose sempre più nascoste.
C'è bisogno di domani, c'è bisogno di futuro
c'è bisogno di ragazzi che sono al di là del muro.
c'è bisogno di un amore vero
c'è bisogno di un amore grande
c'è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo sempre più distante.
(...)
C'è bisogno di un amore vero
c'è bisogno di un amore immenso
c'è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo che ritrovi senso.
Abbiamo visto cose nuove
abbiamo fatto tanta strada
ma il mondo che verrà domani
resta un'impresa da titani.
Siamo tutti adesso importanti
siamo tutti un po' più attori
in questi grandi lavori in corso.
(...)
C'è bisogno di un amore vero
c'è bisogno di un amore "amore"
c'è bisogno di un pezzo di cielo
in questo mondo che abbia più colore.
C'è bisogno di memoria, c'è bisogno di pensare
c'è bisogno di coraggio, c'è bisogno di sognare.


101 STORIE/ I BUONI MAESTRI (2): CHI CI AIUTA A PENSARE

Una cosa è ormai chiarissima: il compito fondamentale della scuola non è insegnare nozioni, ma aiutare i ragazzi a pensare. Martha C. Nussbaum, una delle piu' influenti pensatrici contemporanee, lo esplicita benissimo con questo suo scritto dal titolo: "Il fascino di vedere il mondo con gli occhi degli altri", pubblicato dal quotidiano "La Repubblica" il 15 aprile 2011.

Dove va oggi l'istruzione? Non si tratta di una domanda da poco. Una democrazia si regge o cade grazie al suo popolo e al suo atteggiamento mentale e l'istruzione e' cio' che crea quell'atteggiamento mentale.
Malgrado cio', assistiamo a cambiamenti radicali nella pedagogia e nei programmi scolastici, sia nelle scuole che nelle universita', cambiamenti sui quali non si e' riflettuto a sufficienza.
La maggior parte dei Paesi moderni, ansiosi di crescere economicamente, hanno cominciato a pensare all'istruzione in termini grettamente strumentali, come ad una serie di utili competenze capaci di produrre un vantaggio a breve termine per l'industria. Cio' che nel fermento competitivo e' stato perso di vista e' il futuro dell'autogoverno democratico.

Come Socrate sapeva molti secoli fa, la democrazia e' "un cavallo nobile ma indolente". Per tenerla sveglia occorre un pensiero vigile. Cio' significa che i cittadini devono coltivare la capacita' per la quale Socrate diede la vita: quella di criticare la tradizione e l'autorita', di continuare ad analizzare se stessi e gli altri, di non accettare discorsi o proposte senza averli sottoposti al vaglio del proprio ragionamento.
Oggi la ricerca psicologica conferma la diagnosi di Socrate: la gente ha la preoccupante tendenza a sottomettersi all'autorita' e alle pressioni sociali. La democrazia non puo' sopravvivere se non poniamo un limite a questi pericolosi atteggiamenti, coltivando l'attitudine a pensare in modo curioso e critico. Fin dal tempo in cui Socrate esortava gli ateniesi a non "vivere una vita senza indagine", sono soprattutto gli studi umanistici, e in particolare la filosofia, a permettere di coltivare tali capacita'.

Coltivare l'argomentazione di Socrate favorisce inoltre un sano rapporto tra i cittadini nel momento in cui essi discutono di importanti questioni all'ordine del giorno. I mezzi di comunicazione moderni amano le frasi lapidarie e la sostituzione di un'autentica discussione con l'invettiva. Cio' crea una cultura politica degradata.
In un corso di filosofia, invece, gli studenti imparano a sviscerare l'argomentazione dell'avversario e a chiedere quali sono gli assunti sui quali essa si basa. Nel fare cio', spesso gli studenti scoprono che le due parti, in realta', hanno molto in comune e sorge in loro la curiosita' di vedere in cosa realmente essi divergono, anziche' considerare la discussione politica semplicemente un mezzo per segnare punti a favore della propria squadra e di umiliare l'avversario. La filosofia contribuisce cosi' a creare uno spazio realmente deliberativo e questo e' cio' di cui abbiamo bisogno, se vogliamo risolvere gli enormi problemi che affliggono tutte le democrazie moderne.
Ai cittadini occorre anche la conoscenza della storia, i fondamentali delle principali religioni e del modo in cui funziona l'economia globale. Ancora una volta, gli studi umanistici sono essenziali a questo sforzo di comprensione globale: lo studio della storia del mondo e delle principali religioni, lo studio comparato della cultura e la comprensione di almeno una lingua straniera, sono tutti elementi essenziali nel favorire una sana discussione circa i pressanti problemi del mondo.
Inoltre, questo insegnamento storico deve includere un elemento socratico: gli studenti devono imparare a valutare l'evidenza, a pensare da soli sui diversi modi in cui essa puo' essere collocata e messa in atto nella realta' attuale.
Percio', per realizzare un'idea soddisfacente di cittadinanza globale, abbiamo bisogno anche della filosofia. Infine, i cittadini devono essere in grado di immaginare come appare il mondo agli occhi di coloro che si trovano in una situazione diversa dalla loro.
Gli elettori che prendono in esame una proposta che interessa gruppi diversi (razziali, religiosi, ecc.) all'interno della loro societa', devono essere in grado di immaginare le conseguenze che tali proposte hanno sulla vita delle persone reali e cio' richiede un'immaginazione coltivata. In che modo si coltiva l'immaginazione? Tutti noi veniamo al mondo muniti di una rudimentale capacita' di positional thinking, di pensare dal punto di vista degli altri, ma tale capacita', solitamente, opera in un ambito limitato, nella sfera familiare, e richiede un ampliamento e un perfezionamento intenzionali.

Questo significa che abbiamo bisogno della letteratura e dell'arte, attraverso le quali raffiniamo quello che il grande romanziere afroamericano Ralph Ellison definiva il nostro "occhio interiore", imparare a vedere coloro che sono diversi da noi non soltanto come un minaccioso "altro" ma come esseri umani totalmente eguali, con aspirazioni e obiettivi propri.
Ciononostante, in tutto il mondo, gli studi umanistici, l'arte e persino la storia vengono eliminati per lasciare spazio a competenze che producono profitti, che mirano a vantaggi a breve termine (…).
Dobbiamo opporci con forza ai tagli agli studi umanistici, sia nell'istruzione scolastica che in quella superiore, affermando con fermezza che tali discipline apportano elementi senza i quali le democrazie moderne, come quella ateniese prima di Socrate, sarebbero ancora una volta dominate da una mentalita' gregaria e dalla deferenza verso i capi carismatici.
Questo sarebbe uno scenario terribile per il nostro futuro.

sabato 21 maggio 2011

15.05.2011 4° Pasqua – Anno A


(...) Care sorelle e fratelli, questo tema del pastore è molto delicato, perché Gesù dice: “Coloro che sono venuti prima di me sono ladri e briganti”. Esclude che quelli che verranno dopo di lui possiamo essere ladri e briganti? Lo esclude forse? Non lo esclude: il caso, di questi giorni, di un prete pedofilo e spacciatore di droga, credo che rientri, purtroppo … Non voglio fare letture troppo pessimistiche.
Voglio dire soltanto che, dinanzi alla parola del Signore, dobbiamo metterci in atteggiamento di perenne conversione, perché tutti noi che siamo pastori siamo indegni di esserlo.
Ma non perché facciamo cose cattive: ma perché non credo che nessuno di noi riesca a interpretare come Gesù Cristo, dato che lo facciamo in nome suo, ma non in sua sostituzione, perché il nostro unico pastore e guardiano delle nostre anime resta lui: Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al Pastore e guardiano delle nostre anime.
 Lui resta l’unico pastore. Noi che esercitiamo il ministero pastorale, credo che dobbiamo partire dal riconoscimento che siamo tutti indegni. Perché?

Perché la differenza tra Gesù, buon pastore, e tutti noi, è che Gesù è pastore perché è pronto a morire per le sue pecorelle. E non le tratta da pecore. Perché l’ultima frase, è la frase più bella che potesse essere detta: “Egli è venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza.

La vita in abbondanza: cioè la gioia piena, la gioia di esistere. La gioia di esserci, in questa nostra esistenza, l’unica di cui siamo fruitori, e di viverla in pienezza.
(...)
La differenza è questa: Siamo noi a concepire il ministero come disponibilità a morire per la comunità, per la sua salvaguardia, per l’incremento della vita di tutte le sue persone, interrogandoci per ognuna:
- Cosa è meglio per te? Cosa è meglio per te? Come puoi sperimentare la pienezza della vita? - Quindi dovremmo interrogarci sulla pienezza della vita, non sulle privazioni della vita. Quelle poi ce le imporrà la storia, le vicende della nostra vita, ce le imporranno …
Ma noi dobbiamo rispondere a questa domanda: - Che cosa incrementa la tua vita per davvero? Che cosa ti può fare essere felice di te stesso, di te stessa? - E allora il servizio è reso per incrementare tutto questo.

O facciamo questo o altrimenti rischiamo di scivolare verso un ministero pastorale che è di altra natura. Che non è quello che a cui ci invita il Signore. Che tutte le pecore, o meglio il popolo cristiano abbia la vita e l’abbia in abbondanza.
Ed essere pronti a morire per salvaguardare tutti, tutti. Nella ricerca di questa pienezza.
Che non sia lesiva della pienezza altrui, s’intende. L’unico limite è che la ricerca di uno non venga a compromettere la ricerca di un altro, cioè che non ci si faccia male.

Ma a noi non interessa il pensare negativo. Ci interessa solo come il guard-rail sull’autostrada: per non cadere. Perché noi dobbiamo camminare, dobbiamo crescere, dobbiamo incrementare, dobbiamo portare a compimento il progetto di Dio che è ciascuno di noi.

Non il progetto a cui dobbiamo adeguarci: ognuno di noi è un progetto di Dio. Irripetibile, unico che deve essere realizzato. - Come Dio vuole la mia vita? E questo lo facciamo faticosamente, lo andiamo scoprendo a poco a poco, non sempre è facile: nessuno di noi ha formule precostituite, ogni persona è tutta da inventarsi.
Quindi non si tratta di adeguarsi a un progetto che esiste chissà dove: ma noi siamo proiettati, siamo in divenire continuo, e ci realizziamo man mano, anche per tentativi ed errori. Passiamo attraverso tanti errori. Quante volte abbiamo scoperto le cose più belle anche sbagliando…
Si chiama riciclaggio, questo. E’ una categoria nuova, ma la possiamo utilizzare: fare tesoro dei propri e degli altrui errori. E guardare avanti. E incrementare la vita delle persone.
Perché la vita esiste in quanto incarnata in qualcuno. Neppure la vita può essere un’astrazione. La zoè di cui si parla qui è la vita personale. E’ la vita di ogni persona che è chiamata a fare il suo cammino.

(Il testo non è stato rivisto dall'autore, don Cosimo Scordato: errori o omissioni sono della scrivente Maria D’Asaro, che si assume pertanto la responsabilità delle eventuali imprecisioni e manchevolezze nella trascrizione dell’omelia)

venerdì 20 maggio 2011

IL RAGAZZO CON LA PISTOLA


E’ ovvio: sarà una pistola giocattolo. Però un ragazzino che punta la pistola finta a un coetaneo, e dice con la faccia feroce: “Ti ammazzo”, mi fa ugualmente pensare. Si sa, i ragazzini spesso ci imitano. Che cosa copiano nelle borgate palermitane? Violenza e arroganza, voglia di prevaricare e di imporsi. Intanto, alzando la voce e facendo a pugni. Oppure brandendo un coltello o una pistola, magari vera. E poi alcuni passano a riscuotere il pizzo o a taglieggiare la ditta che non paga.
Sono passati diciannove anni dal suo assassinio, ma a me Giovanni Falcone manca moltissimo. Mi manca il giudice intelligente e tenace, mi manca il concittadino ironico e onesto. Vorrei tanto che a Palermo i ragazzi di periferia avessero lui e Paolo Borsellino come modelli di vita. E che ci fossero altri don Puglisi, che li guidino verso ideali diversi.
Senza pistole, vere o finte che siano.

Maria D’Asaro (pubblicato su “Centonove” il 20-5-2011)

martedì 17 maggio 2011

101 STORIE: La morte, minuto per minuto...


     Non incontro solo ragazzi difficili.
Talvolta, anche i cosiddetti “normali”: quelli che vanno bene a scuola, quelli che non si assentano mai. Quelli che hanno solo un urgente bisogno di essere ascoltati.
    Una volta è venuta a trovarmi una ragazzina: voleva dirmi che non sapeva scegliere con chi fidanzarsi tra due pretendenti. Poco prima avevo salutato un’alunna a cui mancava tanto suo padre, in carcere da anni; dopo mi aspettava un laboratorio di recupero con ragazzini veramente “tosti”. Però, anche se in modo rapido e lieve, qualche istante ai precoci problemi di cuore dell’alunna l’ho dedicato.

    Un giorno, mi si presenta un ragazzino di prima media. Un alunno praticamente modello: frequenza regolare e profitto più che buono. Uno di quelli che, in genere, non ho la fortuna di conoscere. Davanti a me un volto da angioletto, punteggiato da efelidi gentili. Grandi occhi celesti, capelli biondi e tanti ricciolini, quasi da bambina. Un corpo paffutello, ancora cinto dalla pingue rotondità dell’infanzia.
Gli chiedo, con un sorriso, perché ha voluto incontrarmi. Mi dice che alcuni compagni fanno troppa confusione, in alcune ore di lezione. Lo lascio parlare. Intuisco che non è questo quello che vuole dirmi veramente. Non spingo però l’acceleratore sui suoi tempi. Mi saluta e mi chiede se potrà tornare. Guardo l’agenda e fisso un colloquio tra qualche giorno.
Torna, puntualissimo. Comincia con la solita solfa della confusione in classe. Lo ascolto. Poi, intervengo, quasi distrattamente: - Forse, però vuoi dirmi anche qualche altra cosa… -
Giorgio mi guarda.
Poi dice, senza veli: - Mio nonno sta male.- Comincia a raccontarmi dell’affetto che lo lega al nonno. Mi dice che siccome papà e mamma lavorano tutto il giorno, sia lui che la sorellina piccola abitano quasi sempre dai nonni. Ma ora, il nonno/quercia non respira bene. E’ in ospedale. – Gli hanno fatto le lastre. Ha un brutto male –
 Ecco che, accanto a noi, sta per prendere posto anche l’ombra di un’ospite ingombrante. Una che non vorremmo mai invitare ai nostri conviti. Una signora di cui Giorgio ha paura.

La mia stanzetta ha una finestra da cui si intravede un pezzo di un bel giardinetto. Nell’istante di silenzio tra le parole di Giorgio e le mie sono accarezzata dal cinguettio degli uccellini che visitano gli alberi del nostro giardino.
Prendo il respiro. Poi dico a Giorgio che capisco profondamente la sua ansia, la sua sofferenza. Spendo qualche parola sulla possibilità che il nonno possa essere curato, ma non lo illudo più di tanto. Gli dico di andarlo a trovare il più possibile, di essergli accanto, di farsi raccontare tutto quello che vorrebbe sentire da lui.
Finalmente Giorgio si libera. Mi dice: - Ho paura che mio nonno possa morire, professoressa. –
Vorrei abbracciarlo. So bene che non posso e non devo farlo.
Mi limito a dirgli, con la voce più dolce e affettuosa che ho, che la sua è la paura più umana che c’è. Che ogni essere umano, a un certo punto della sua vita, viene attraversato da questa paura e, prima o poi, dall’esperienza dolorosissima del distacco da un suo caro.
Gli dico che comunque le cose belle che ha vissuto e che ancora potrà vivere col nonno se le porterà nel cuore e gli faranno buona compagnia per tutta la vita. Nessun ladro potrà mai rubargliele.
Giorgio mi regala un sorriso fragile, appena accennato. Mi dice se può tornare, la prossima settimana. Siamo a metà aprile. Gli dico senz’altro di sì.

Giorgio mi verrà a trovare ogni settimana. Sino a giugno. Avrò notizie continue sull’ospedalizzazione del nonno. Sui suoi rientri a casa. Sul suo, illusorio, miglioramento. Sui pensieri tristi e arruffati che si intrecciano nella sua mente.
A giugno ci salutiamo.
Gli prometto che in estate gli sarò accanto col mio pensiero costante e affettuoso.

Rientriamo a scuola a metà settembre.
Mi viene a trovare il secondo giorno di scuola.
La sua espressione mi dice che il nonno è morto. – Il venticinque agosto, professoressa…–
Comincia a piangere. Una pioggia copiosa di lacrime calde bagna le sue efelidi chiare. Irrefrenabile. Lascio che questo liquido prezioso sciolga, almeno un pochino, il macigno che lo opprime, di dentro.
Lo accarezzo con la voce.
Gli dico che ha il diritto di piangere il nonno. Per tutto il tempo che vuole.
Gli confesso di capire bene cosa prova: quel senso di vuoto incolmabile, quella nera tristezza. Che ho provato anche io, quando ho perso mio nonno.
Giorgio si abbandona: alla sua pena, alla sua sofferenza acerba e durissima.
Gli porgo un fazzolettino. So che Giorgio e la sua famiglia sono cattolici: accenno alla possibilità che l’anima del nonno possa continuare misteriosamente a essergli accanto e a volergli bene.

Il ragazzo mi chiede se può tornare: gli dico ovviamente di sì.
Lo incontrerò per tutto l’anno scolastico: mi parlerà spesso del nonno, del dolore della nonna, di come è cambiata la vita, per lui e per tutti i suoi, adesso che il nonno non c’è.
Piano piano questo lutto lo elaboriamo insieme.
A fine anno lo vedo più grande, più distratto e sereno.

In terza media, non mi ha più cercata.

Qualche giorno fa, non vista, l’ho rivisto: ormai sedicenne dal corpo sfilato, col viso più asciutto e più duro: aveva accanto la sorellina, anche lei dai riccioli d’oro.
Chissà perché, ho sentito una zaffata di tristezza.
Forse anch’io ho bisogno, ogni tanto, di qualcuno che mi aiuti a elaborare i miei lutti …

venerdì 13 maggio 2011

Un altro giorno è andato ...

A mio avviso, una delle canzoni più belle di Francesco.
Quasi un manifesto dell'esistenzialismo contemporaneo. Senza uno sguardo affettuoso che ci sostenga e ci accarezzi, forse la vita non ha alcun senso.
C'è solo una litania di giorni che avranno una fine, ma forse non un fine...


ALIENI IN BICICLETTA


Nella mia Palermo priva di piste ciclabili, tranne la striscia che va dalla Stazione Centrale a Mondello, andare in bici è insieme un’avventura e un rischio. Che, infatti, affrontano solo pochi, eccezionali, individui.
Ad esempio gli extracomunitari: che, oltre alle gambe allenate a percorrere strade in salita, possono magari permettersi solo le due ruote di una bici malandata. E poi in bici vanno i ragazzi ecologisti e un po’ “freak”: quelli che preferiscono la bici silenziosa, a un più arrogante “motore”. Infine, la prediligono anche alcune donne speciali. Ad esempio, due mie vicine di casa. Due madri: una ha scelto di iscriversi all’università per coronare un antico sogno, a quarant’anni compiuti. L’altra, già cinquantenne, va in bici perché, oltre alla poesia, ama l’aria pulita.
A queste donne, agli uomini privi di inquinanti corazze, m’inchino. Io e Palermo vi ringraziamo: profeti nascosti di una vita più umana, più lenta, più dolce.

                                                                 Maria D’Asaro    (pubblicato su “Centonove” il 13-5-2011)

lunedì 9 maggio 2011

La differenza tra dogmi e tabù

Riporto un editoriale del mio amico Augusto Cavadi, pubblicato su "La Repubblica - Palermo",l' 8.5.2011
(le sottolineature sono mie).

    Il 17 maggio sarà la giornata mondiale in memoria delle vittime dell´omofobia. Anche alcune comunità cristiane (cattoliche e protestanti) palermitane hanno organizzato un momento pubblico di preparazione: una veglia di preghiera, per la sera di giovedì 12 maggio, presso la parrocchia di S. Lucia.
     Alcuni preti cattolici, alcuni pastori protestanti e numerosi fedeli di entrambe le confessioni (omosessuali ed eterosessuali, ovviamente) sono stati felici dell´ospitalità da parte del padre comboniano che aveva messo a disposizione la chiesa nei pressi dell´Ucciardone.
    Ma ecco che, pesante come una ghigliottinata, è arrivato lo stop del cardinale Romeo, arcivescovo di Palermo: questa preghiera non s´ha da fare. Non è facile esprimere un giudizio meditato sulla vicenda, al di là dell´emotività immediata. Per la Chiesa cattolica, infatti, la pratica dell´omosessualità è ‘oggettivamente´ peccaminosa e l´unica tolleranza ammissibile è nei confronti dei singoli omosessuali, come nei confronti di qualsiasi altro fedele che combatta qualsiasi altra tentazione ‘carnale´.
     Pretendere che un arcivescovo consenta una veglia di preghiera per le vittime dell´omofobia sarebbe, per certi versi, incomprensibile come se autorizzasse una veglia pubblica di preghiera per tutti i mafiosi caduti sotto i colpi della polizia o di altri mafiosi.Posto, dunque, che il cardinale sta agendo in maniera coerente con il suo ruolo ufficiale, istituzionale, la questione si sposta dal caso particolare alla mentalità generale: ai presupposti culturali e etici. In nome di cosa la Chiesa cattolica considera l´esercizio dell´omosessualità un peccato? Schematizzando brutalmente, si può rispondere: o per ignoranza scientifica o per superficialità esegetica.
    Ai ‘laici´ basta il primo punto per chiudere il discorso: né avrebbero partecipato alla veglia di preghiera né possono dispiacersi più di tanto per la notizia della censura. Diverso il caso dei credenti che accettano di andare, attraverso e oltre il piano dell´indagine scientifica, sino al livello teologico. Essi sarebbero disposti, ovviamente, a obbedire al magistero attuale vaticano qualora fosse vero che la Bibbia stessa condanni le pratiche omofile. Se, invece, non sembrano disposti ad allinearsi, è perché decenni di frequentazione con gli ambienti teologici (cattolici e protestanti) più aggiornati li hanno resi edotti della fondatezza di tesi opposte: numerosi biblisti, infatti, hanno approfondito le questioni esegetiche e interpretative della Scrittura e sono arrivati alla conclusione che - come in innumerevoli altri casi - i testi ‘sacri´ vanno storicizzati e, liberati dagli agganci caduchi a tabù delle epoche precedenti, accolti nei loro contenuti essenziali. Karl Rahner invitava, già cinquanta anni fa, a rispettare la "gerarchia delle verità": a mettere al centro le verità fondamentali e lasciare ai margini, e alla discussione, le tesi periferiche secondarie.
     Che Dio ami tutte le sue creature, a prescindere dagli orientamenti sessuali, è una verità centrale: come gli omosessuali, amati da Dio e salvati in Cristo, possano vivere la loro affettività e il loro erotismo appartiene all´ambito delle questioni opinabili.

      Come recita un classico adagio cristiano: ci vuole unità nelle questioni essenziali, libertà nelle questioni dubbie, amorevole comprensione in tutte. Ecco perché i gruppi che hanno organizzato la veglia muteranno di pochi metri il luogo, ma lasceranno intatta la data: pregheranno nella piazza della Pace, antistante i locali della parrocchia che gli sono stati preclusi. Eviteranno che proprio Palermo, città originaria di Alfredo Ormanno (il gay che nel 1988 si diede alle fiamme per protesta nella piazza di san Pietro a Roma), sia l´unica grande città del mondo a non solidarizzare con i gay e le lesbiche picchiati o uccisi a causa del loro orientamento sessuale.
        E soprattutto testimonieranno, ancora una volta, che credere nel messaggio esigente del Nazareno significa, tra l´altro, saper "obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" tutte le volte che le istituzioni umane, anche religiose, pretendono di intercettare i dettami della coscienza.

sabato 7 maggio 2011

Lettera al padre

Franz Kafka Lettera al padre Tascabili Economici Newton, Roma, 1993


E’ un libro avuto in prestito. Letto velocemente. Più per dovere che per piacere. Perché la lettera che Kafka scrive al padre Hermann (ma che in realtà non gli invierà mai) descrive gesti e parole di un genitore che compie tutti i possibili misfatti educativi nei confronti del figlio. La lettera risulta quindi un perfetto manuale alla rovescia, che si potrebbe titolare: Tutto quello che un padre non dovrebbe mai fare nei confronti del proprio figlio.



Tant’è che viene da chiedersi quanto l’autore de La metamorfosi e de Il castello sia stato condizionato “dalla festa della cattiveria” con cui suo padre lo ebbe educato …Certo, se forse il sig. Hermann Kafka fosse stato un buon papà, avremmo rischiato di avere magari uno scrittore meno geniale. Ma sulla terra ci sarebbe stato sicuramente un uomo più felice.



P.S. Coincidenze: una persona a me cara, riordinando le sue cose, si è trovato in mano proprio questo libro …Che, a marzo, aveva visto tra le mie mani …

C'era una volta un caffè...

Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) ha tradotto la fiaba scritta da Sharon Mehdi per la sua nipotina di cinque anni, che nel 2007 ispiro' la nascita del movimento Standing Women (cfr. il sito http://www.standingwomen.org./
Sharon Mehdi e' scrittrice, insegnante, terapeuta, madre e nonna. Apparso sul giornale telematico:
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO: n. 548 del 7 maggio 2011

C'era una volta un caffe' con le finestre che davano sul parco pubblico. Un giorno, un ragazzo che lavorava nel caffe' vide da una di quelle finestre due donne anziane, che sembravano essere rimaste nel parco tutto il giorno. Non si muovevano, non parlavano, erano vestite con i loro abiti migliori e pareva guardassero in direzione del Municipio. Il ragazzo chiese ai suoi colleghi che ne pensassero. Proprietari, lavoratori e avventori cominciarono a speculare su cosa le donne stessero facendo, e tirarono fuori un gran numero di ipotesi.
Una bambina di cinque anni che era nel caffe' prese infine parola e disse: "Una di quelle donne e' mia nonna ed io so cosa stanno facendo. Stanno in piedi la' per salvare il mondo".
Tutti gli uomini nel caffe' risero e schiamazzarono. Sulla strada di casa, il ragazzo decise di chiederlo direttamente alle donne, e la loro risposta fu: "Stiamo salvando il mondo". Quella sera, a cena, il ragazzo racconto' la storia ai suoi genitori, e lui e suo padre risero e schiamazzarono, ma sua madre resto' in silenzio. Dopo cena, la madre chiamo' le sue amiche per narrare loro la vicenda.
Il giorno dopo, il ragazzo guardo' di nuovo dalla finestra, e le due anziane erano ancora la', ma c'erano anche sua madre, le amiche di sua madre e tutte le donne che erano state nel caffe' il giorno prima. Tutte stavano in piedi, in silenzio, con lo sguardo rivolto al Municipio.
Di nuovo, gli uomini sghignazzarono e ulularono e dissero cose di questo tipo: "Non si salva il mondo stando nei parchi, ci vogliono gli eserciti", oppure: "Tutti sanno che bisogna avere striscioni e slogan per salvare il mondo, non si puo' farlo stando semplicemente in un parco".
Il giorno dopo, al gruppo di donne si erano aggiunte anche tutte quelle che erano nel caffe' il giorno prima, e un po' delle loro amiche. Cio' indusse il quotidiano locale ad occuparsene ed il giornalista scrisse un articolo che derideva le donne. Il giorno in cui l'articolo apparve sul giornale, centinaia di donne raggiunsero le altre al parco e stettero in silenzio con loro. Il sindaco disse allora al capo della polizia di sgomberarle, perche' facevano sembrare stupida la citta'.
Quando il capo della polizia disse alle donne di disperdersi perche' non avevano l'autorizzazione a manifestare, una di esse gli rispose: "Siamo solo cittadine che stanno nel proprio parco pubblico, non stiamo tenendo discorsi o facendo una dimostrazione per cui sia necessario un permesso". Il capo della polizia dovette ammettere che era cosi' e le lascio' stare.
A questo punto, nel parco c'erano 2.223 donne incluse la moglie del sindaco, la moglie del capo della polizia ed una bambina di cinque anni, tutte la' per salvare il mondo. La notizia si diffuse velocemente, e presto ci furono donne in tutti i parchi del paese, e poi in tutti i parchi del pianeta.
Avevano preso posizione per salvare il mondo.

venerdì 6 maggio 2011

COMPAGNI DI STRADA


Sono una donna fortunata.
Perché ho un lavoro.
Perché vado a lavorare a piedi.
Con la possibilità di apprezzare i segni delle stagioni negli alberi lungo la strada: le corisie dal tronco spinoso: con foglie brillanti in primavera e fiori setosi, di una bellezza abbagliante, in autunno; le sempreverdi sterculie; i maestosi pioppi di via Oreto.
Pioppi che sono gli ultimi a riprendere le loro tenere foglioline. Invece, a suonare il campanello dell’incipiente primavera è stato un ficus carica (così si chiama l’albero dei dolcissimi fichi): i cui rami spogli, quando hanno esposti i primi germogli, sembravano quasi verdi prepuzi impudichi. Che a marzo, assieme ai ciuffi gialli di acetosella, regalavano già un presagio del ritorno della primavera.
Oggi, nonostante il contraltare della monnezza non raccolta, nelle foglie verde smeraldo delle sophore e nelle siepi fiorite, anche Palermo gode della rinascita della natura, in tutta la sua sempiterna, folgorante bellezza.                                                                                                                                               Maria D’Asaro ("Centonove" 6.5.2011)

Voglio vederti danzare ...

Un Battiato tenerissimo. Giovane giovane. Che invita tutti a danzare....
Shall we dance?!!

101 STORIE: I BUONI MAESTRI (1): CHI CREA NUOVI MONDI

Una delle poche cose che la scuola può fare per non perdere i ragazzi difficili, è offrire loro dei buoni maestri. Ho trovato illuminante, in tal senso, l’articolo di Massimo Recalcati, apparso sul quotidiano La Repubblica il 29.4.2011, che riporto quasi integralmente.


“Il lavoro degli insegnanti è diventato oggi un lavoro di frontiera: supplire a famiglie inesistenti o angosciate, rompere la tendenza all´isolamento e all´adattamento inebetito di molti giovani, contrastare il mondo morto degli oggetti tecnologici e il potere seduttivo della televisione, riabilitare l´importanza della cultura relegata al rango di pura comparsa sulla scena del mondo, riattivare le dimensioni dell´ascolto e della parola che sembrano totalmente inesistenti, rianimare desideri, progetti, slanci, visioni in una generazione cresciuta attraverso modelli identificatori iperedonisti, conformistici o apaticamente pragmatici.
Gli insegnanti consapevoli ce lo dicono in tutti i modi: "Non ascoltano più!", "Non parlano più!", "Non studiano più!", "Non desiderano più!". Cosa può dunque tenere ancora vivo il motore del desiderio? Non è forse questa la missione che unisce tutte le figure (a partire dai genitori) impegnate nel discorso educativo? Mestiere impossibile decretava Freud. Aggiungendo però a questa profezia pessimistica una buona notizia: i migliori sono quelli che sono consapevoli di questa impossibilità, quelli che non si prendono per davvero come padri o insegnanti educatori. I migliori sono quelli che hanno contattato la loro insufficienza. Sono quelli che hanno preso coscienza dell´impossibilità e del danno che provocherebbe porsi come gli educatori migliori.

Proviamo ora a fare un esperimento mentale: chi sono gli insegnanti che non abbiamo mai dimenticato? Sono quelli che hanno saputo incarnare un sapere, sono quelli che ricordiamo non tanto per ciò che ci hanno insegnato ma per come ce lo hanno insegnato. Ciò che conta nella formazione di un bambino o di un giovane non è tanto il contenuto del sapere, ma la trasmissione dell´amore per il sapere. Gli insegnanti che non abbiamo dimenticato sono quelli che ci hanno insegnato che non si può sapere senza amore per il sapere. Sono quelli che sono stati per noi uno "stile".
I bravi insegnanti sono quelli che hanno saputo fare esistere dei mondi nuovi con il loro stile. Sono quelli che non ci hanno riempito le teste con un sapere già morto, ma quelli che vi hanno fatto dei buchi. Sono quelli che hanno fatto nascere domande senza offrire risposte già fatte. Il bravo insegnante non è solo colui che sa, ma colui che, per usare una bella immagine del padre sopravvissuto celebrato da Cormac McCarthy ne La strada, "sa portare il fuoco".

Portare il fuoco significa che un insegnante non è qualcuno che istruisce, che riempie le teste di contenuti, ma innanzitutto colui che sa portare e dare la parola, sa coltivare la possibilità di stare insieme, sa fare esistere la cultura come possibilità della comunità, sa valorizzare le differenze, la singolarità, animando la curiosità di ciascuno senza però inseguire alcuna immagine di "allievo ideale", ma esaltando piuttosto i difetti, persino i sintomi, di ciascuno dei suoi allievi, uno per uno. È, insomma, come scrisse un grande pedagogista italiano quale fu Riccardo Massa, qualcuno che "sa amare chi impara". Tutti ne abbiamo conosciuto almeno uno.
Questa è la vera prevenzione primaria che servirebbe ai nostri figli: incontrarne almeno uno così. Dobbiamo, invece che ironici, essere riconoscenti all´esercito civile di chi ha scelto di vivere nella Scuola, a coloro che hanno autenticamente e appassionatamente scelto di amare chi impara. (…)

Il vero nemico dell´insegnante è la tendenza al riciclo e alla riproduzione di un sapere sempre uguale a se stesso. È lo spettro che sovrasta e può condizionare mortalmente questo mestiere: adagiarsi sul già fatto, sul già detto, sul già visto. Ridurre l´amore per il sapere a pura routine. A quel punto non c´è più trasmissione di una conoscenza viva ma burocrazia intellettuale, parassitismo, noia, plagio, conformismo. Un sapere di questo genere non può essere assimilato senza generare un effetto di soffocamento, una vera e propria anoressia intellettuale. Eppure la Scuola continua ad essere fatta di ore di lezione che possono essere avventure, esperienze intellettuali ed emotive profonde. (…)
Il nostro tempo segnala una crisi senza precedenti del discorso educativo. Le famiglie appaiono come turaccioli sulle onde di una società che ha smarrito il significato virtuoso e paziente della formazione rimpiazzandolo con l´illusione di carriere prive di sacrificio, rapide e, soprattutto, economicamente gratificanti.Come può una famiglia dare senso alla rinuncia se tutto fuori dai suoi confini sospinge verso il rifiuto di ogni forma di rinuncia? Per questa ragione di fondo la Scuola viene invocata dalle famiglie come un´istituzione "paterna" che può separare i nostri figli dall´ipnosi telematica o televisiva in cui sono immersi, dal torpore di un godimento "incestuoso", per risvegliarli al mondo. Ma anche come una istituzione capace di preservare l´importanza dei libri come oggetti irriducibili alle merci, come oggetti capaci di fare esistere nuovi mondi. Capissero almeno questo i suoi censori implacabili. Capissero che sono innanzitutto i libri – i mondi che essi ci aprono – ad ostacolare la via di quel godimento mortale che sospinge i nostri giovani verso la dissipazione della vita (tossicomania, bulimia, anoressia, depressione, violenza, alcoolismo, ecc).
Lo sapeva bene Freud quando riteneva che solo la cultura poteva difendere la Civiltà dalla spinta alla distruzione. La Scuola contribuisce a fare esistere il mondo perché un insegnamento, in particolare quello che accompagna la crescita (la cosiddetta scuola dell´obbligo), non si misura certo dalla somma nozionistica delle informazioni che dispensa, ma dalla sua capacità di rendere disponibile la cultura come un nuovo mondo, come un altro mondo rispetto a quello di cui si nutre il legame familiare. (...)
Un bravo insegnante non è forse quello che sa fare esistere nuovi mondi?”

mercoledì 4 maggio 2011

Canzone delle colombe e del fiore ...

Amore, s'io fossi aria, le tue rondini vorrei,
per guardarmele ogni minuto e farle volare negli occhi miei,
quelle rondini bianche e nere che anche mute dicono tanto:
tutta la gioia di mille sere ed un momento solo di pianto
ed un momento solo di pianto ed un momento solo di pianto
ed un momento solo di pianto...
Amore, mai sarò stanco di bermi tutto il tuo miele,
quando ridi o quando mi parli in me si gonfiano mille vele ;
quando un sogno od un tuo segreto ti fan seria e sembri rubata,
guizzan pesci tra i tuoi due fiori, rivive l' anima mia assetata
rivive l' anima mia assetata, rivive l' anima mia assetata
rivive l' anima mia assetata...
Amore, pensa s'io avessi una torre colombaria
per far posare le tue due colombe stanche di volare in aria,
vederle alzarsi dritte nel cielo e atterrare fra le mie mani
per carezzarle dentro ai miei oggi e baciarle fino a domani
e baciarle fino a domani, e baciarle fino a domani
e baciarle fino a domani...
Amore, nel mio giardino vorrei fiorisse la tua rosa
perchè l' anima mia si perda dove il corpo rinasce e riposa,
quella rosa di primavera sempre rorida di rugiada,
misteriosa come la sera, balenante come una spada
balenante come una spada, balenante come una spada,
balenante come una spada....

Amore, colomba, fiore, amore fragile e forte,
sfrontatezza e pudore, compagna di gioia e sorte,
sapore amaro e dolcezza, con l' arcobaleno fra le dita,
vorrei perdermi nel tuo respiro, vorrei offrirti questa mia vita
vorrei offrirti questa mia vita, vorrei offrirti questa mia vita,
vorrei offrirti questa mia vita...             Francesco Guccini.


lunedì 2 maggio 2011

SOFFOCATA

Soffocata
per sempre
dalle maschere vane
che ti piace indossare:
morirai.

MORIRE



Morire:

un tuffo
nel mare nero
da cui sei venuta,
creatura.



SCAGLIE


Scaglie

D’infinito
Naufragano nel nulla
Di un porto fragile.
Imploso.

PICCOLINA


Piccolina:

non sai
che il mondo
gira sempre al contrario?
Ignorante…