mercoledì 26 gennaio 2011

PRONTO SOCCORSO (3): Se le domande le fanno gli alunni…


L’anno dopo, mi fu affidato un altro quartetto di alunni da salvare.
Sempre terza media: due ragazzi e due ragazze. Due, erano fratello e sorella, con un paio di bocciature a testa, dovute anche a una lunga sequela di trasferimenti alle elementari - non si capiva bene perchè - in mezza dozzina di scuole diverse. Lui, che chiamerò Francesco, aveva già sedici anni e mezzo; lei, Anna, quindici anni. Gli altri, un bel biondino di 14 anni, dagli occhi languidi e dal fare indolente, che chiamerò Marco, e una ragazza mora di sedici anni, ben piantata su se stessa, Concetta.

Mi accorgo subito della difficoltà del salvataggio. I ragazzi, scolasticamente, sono in uno stato comatoso: insufficienze in quasi tutte le materie. Le ragazze pareva avessero antenne solo per potenziali fidanzatini e per nuovi colori di smalto per unghia; i ragazzi erano persi dietro i loro ormoni e i loro incerti e informi pensieri.
Mi accordo con i colleghi per un intervento pluridisciplinare: un po’ di scienze (leve, vulcani, terremoti), un po’ di storia (il Risorgimento, la politica di Giolitti, la I guerra mondiale), un po’ di Geografia (caratteristiche degli USA, del Giappone, della Cina…).
Dico subito che per le due ragazzine fu un insuccesso. Troppo distratte da altro; poco incisiva la psicopedagogista, forse. Di fatto, nessuna delle due fu ammessa agli esami. Anna fu promossa comunque l’anno successivo. Concetta fu iscritta d’ufficio a un corso serale.
Ce l’hanno fatta, invece, Francesco e Marco. Ognuno con un suo percorso. Che racconterò singolarmente.


Comincio da Marco. Che c’era e non c’era. Seguiva l’attività didattica a intermittenza: non perché disturbasse o chiacchierasse. Semplicemente era un po’ su un altro pianeta: sguardo dolce e svagato, perso forse dietro la forma precisa di una ragazzina…
Attenzione intermittente, è vero, però lo sguardo c’è. Un giorno studiamo le leve: primo, secondo, terzo tipo; braccio-resistenza, fulcro, braccio-potenza. Preparo uno schema. Marco si propone di trascriverlo al computer… Quindi una passione ce l’ha. La volta successiva dimentica il file. Due volte dopo, porta uno schema perfetto corredato di immagini.
E’ la volta della storia: destra e sinistra, dopo l’unità di Italia. Provo a spiegare il significato di quelle parole, a fine ‘800. Marco, come al solito, sembra distratto. Quando sta per suonare la campana, butta lì, con la sua aria svagata, una domanda da niente: “Professoressa, mi spiega qual è oggi la differenza tra un partito di destra e uno di sinistra?”
C’era, Salvo. Altro che.
Forse il problema è che noi insegnanti, a volte, parliamo troppo. Tentiamo di riversare di corsa, con ruolini di marcia forzati, tutto il nostro sapere, le pagine scritte, agli alunni. Dovremmo invece dilatare i tempi, dare spazio al silenzio, agli occhi svagati.
In un libro strepitoso che, a mio avviso, ogni insegnante o psicopedagogista dovrebbe leggere una volta all’anno, Paolo Perticari distingue, riprendendo Heinz von Foerster, fra domande illegittime e domande legittime: le prime sono quelle di cui si sa già la risposta, quelle domande che il sistema scuola e il sistema universitario sono così abituate a fare
[1]; le seconde sono quelle la cui risposta è tutt’altro che scontata, ma comporta un’assunzione di responsabilità, un rischio di sforzo, una ricerca di qualcosa…

Ho tentato di dare una risposta, provvisoria, circostanziata, il meno possibile viziata da passione personale, alla domanda di Salvo.
Che, inutile dirlo, continuò a fare domande. E a chiedere della politica di oggi. A chiedere, ad esempio, cosa facevano per i poveri, i politici di destra. E quelli di sinistra.
Salvo che, inutile confermarlo, fu ammesso agli esami.

Non abita lontano da casa mia. Ogni tanto lo vedo. Continua ad avere gli stessi occhi. Un po’ svagati e sensuali. Spero anche che continui a fare, e a farsi, tante domande.


[1] Paolo Perticari Attesi imprevisti Bollati Boringhieri, Torino, 1996, pag.25

2 commenti:

  1. Ciao. Correggimi se sbaglio, ma dai tuoi racconti mi sembra che tanti di questi ragazzi fuoristrada, per farcela, abbiano bisogno più che altro di sentirsi considerati diversamente da quello che possono e riescono a dare loro gli altri adulti che li circondano. Cosa che trovano non tanto nella tua figura, quanto nella tua persona. La missione umanitaria di cui ti fai carico è doppiamente lodevole per la passione con cui la porti avanti. Alla prossima.

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  2. @Dr. Peter: ehi... parli come la mia splendida amica, preside for ever. Non è che la conosci e vi siete messi d'accordo, a mia insaputa?!
    Grazie, davvero.
    A volte è duro e difficile fare questo lavoro: mi ricorderò della tua stima, nei momenti difficili.

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