martedì 6 ottobre 2009

STAGIONI


(…) Quando si svegliò, ispirando l’aria tersa e lievemente dorata della fresca mattinata autunnale, capì d’essere guarita. Così, quasi all’improvviso.
Le fitte al petto, la febbre continua, le ustioni del corpo e quelle dell’anima, tutti i mali che le ballavano attorno e la circondavano con un girotondo crudele, adesso, se non scomparsi, si erano ritratti in luoghi lontani. Da cui, è vero, continuavano a ruggire, ma lei ne avvertiva solo l’eco sordo, attutito. Come il rumore dei tuoni che brontolano inoffensivi, quando a ovest è già spuntato il sereno. Come il retrogusto amaro di un incubo notturno, cancellato dal buon odore del caffè del mattino.
Come è successo, si chiese. Quali frangiflutti avessero vinto l’onda di dolore che rischiava di travolgerla.
Se le mille tisane odorose, se i fiori sbocciati dal nulla, se i sorrisi premurosi delle amiche. Se l’incoraggiamento misterioso degli angeli. Se la carezza silenziosa degli antenati. Forse tutti questi rimedi insieme. O forse niente.
Forse, semplicemente, l’attacco del virus non era mortale. Forse il morbo aveva esaurito la sua carica velenosa. O forse le sue cellule avevano finalmente capito che il morbo era altro. Un estraneo. Da tenere lontano. Da collocare nei suoi confini.
Allora poteva alzarsi. Poteva di nuovo guardarsi allo specchio. Poteva sorridere. Poteva indossare la sua maglietta più bella e prepararsi all’appuntamento. E dire alla sua nuova vita: “Sono pronta. Sto bene” (…)
(...)Quando si svegliò, ispirando l’aria tersa e lievemente dorata della fresca mattinata autunnale, chiuse gli occhi e respirò piano per impedire che il sogno si sciogliesse subito nell'acido della vita reale (...)

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