sabato 17 ottobre 2009

OMELIA DEL 20 SETT. 09 - 25° t.o. - Anno B


Come ha detto bene J.: "t.o. B" sta per "tempo ordinario" (uno dei 'tempi liturgici' della chiesa: "avvento" o "quaresima", o, appunto, il tempo normale o ordinario), mentre "Anno B" è uno dei tre anni liturgici, A, B e C, in cui si alternano come testi base i tre vangeli sinottici (Matteo, Marco e Luca).

1989: vi ricorda qualcosa questa data? Si, la caduta del muro… A me ricorda un altro avvenimento: la dichiarazione dei diritti del bambino. L’ultima, grande dichiarazione dei diritti umani: ce ne erano state tante nel corso nei decenni precedenti. Viene fatta all’ONU la dichiarazione dei diritti dei bambini. I bambini hanno dei diritti nei confronti di tutti. E io saluto questa dichiarazione come, potremmo dire, l’epilogo di questa affermazione del Vangelo finalmente penetrata nel cuore e nella mente della nostra umanità.
Questo gesto che fece Gesù di abbracciare un bambino e di dichiarare quello che noi oggi abbiamo ascoltato: “Chi accoglie uno di questi bambini accoglie me e chi accoglie me accoglie il Padre.” E perché è importante quest’affermazione? Perché i bambini, al tempo di Gesù e sino a prima del 1989 – anche se qualcosa prima si era affermato – non erano considerati come soggetti di diritti. Il bambino è per eccellenza la persona che non ha niente. Non ha neppure la parola per lamentarsi, per farsi capire, dipende totalmente dagli altri, qualsiasi cosa gli facciano, l’accetta o la subisce … Ebbene, Dio sceglie come luogo della sua rivelazione e del suo incontro il bambino neonato, il bambino nei primi anni della sua vita, che è privato di tutto e ha bisogno di tutto. Il bambino come disarmo totale della nostra società: perché al bambino ci si presenta appunto mettendosi a terra con lui, togliendo ogni prosopopea, demitizzando ogni costruzione e ci si mette a giocare, a ridere, a pulirlo, a tenerlo allegro, a imparare a parlare …
Gesù sta affermando che Dio va incontrato dove c’è questa situazione di totale privazione di tutto. Ancora più del povero: perché il povero è adulto, può parlare, si può fare sentire, può rivendicare … Ma il bambino è ancora più radicalmente povero: neppure può parlare, è colui che non conta niente … Ai tempi di Gesù non contava niente un bambino, né per la legge, né aveva alcun diritto presso i genitori, che potevano disporne, potevano fare di lui quello che volevano. Certo, il senso materno e il senso paterno ci sono sempre stati, ma il bambino non contava niente.
E Gesù vuole demitizzare ogni forma di potere mettendoci in ginocchio dinanzi ai bambini. Per la Chiesa Gesù ipotizza una ricchezza di relazioni dove chi vuol esser primo deve essere colui che serve gli altri, in greco si dice diacono, cioè colui che serve. Non chi comanda, chi dà ordini, no, ma colui che fa le cose, colui che serve. In quest’atteggiamento di servizio, non ci passa neppure per la mente quella che san Giacomo denunzia come la radice di ogni male, e delle guerre e delle inimicizie in particolare.. Da dove nascono le guerre? Noi ci possiamo mettere fuoco, ci possiamo ricamare tutto quello che vogliamo … ma quasi sempre esse sono l’esplosione delle passioni individuali e collettive, delle brame, del voler possedere sempre di più. “E’ l’invidia sino a ottenere tutto, che fa si che voi combattete e fate guerra” ci dice san Giacomo, mettendo a nudo tutte le ns. ideologie. Se servisse ai bambini, se la nostra vita fosse un servizio ai bambini, non ci sarebbe per nessun pensiero di guerra, per nessuna prevaricazione di dominio.
E allora, anche il testo della sapienza ci invita a resistere alla tentazione del dominio. Dobbiamo ripartire da terra, accanto ai bambini. E credo che la figura di Maria addolorata ci riporta proprio all’idea, come noi diciamo in dialetto per indicare l’uomo, utilizziamo un’espressione molto bella, che è antimaschilista questa volta, noi per dire bambino o uomo diciamo “Stu fighhiu di madri, figlio di madre …. (Anche Gesù è figlio di madre, Giuseppe c’entra in un altro modo!) Figlio di madre per dire che la madre, più di ogni altra persona – certo anche i papà per carità, me ne guarderei bene dal togliere loro il ruolo, la genitorialità è condivisa, è unica – ma dico le madri in modo particolare ci pensano che non si deve fare niente contro un figghio di madre … Il dolore di Dio riflesso anche sul dolore di Maria è il dolore per tutto quello che si fa contro i figli di madre. A partire dai più piccoli.
E allora, facciamo festa … Ma come si può fare festa con l’Addolorata? Potrebbe sorgere questa domanda, è una festa o non è una festa? Facciamo festa, nel senso che proprio guardando Maria che rappresenta ogni madre e ogni figlio di madre noi vogliamo allontanare ogni dolore provocato da noi.
L’unico modo di fare festa è, appunto, togliere dolore dall’umanità sofferente. Così ha senso che noi possiamo festeggiare anche l’Addolorata: non per esaltare il dolore, quando è inevitabile e molte volte è inevitabile perché ha a che fare con l’amore, con il dono, con la disponibilità verso gli altri, tutto questo richiede impegno, sacrificio, d’accordo, ma c’è tanto dolore inutile, stupido e assurdo che è provocato soltanto per fare del male.
E allora ben venga l’Addolorata per ricordarci, per richiamarci a questa disponibilità che abbiamo verso ogni figlio di madre, verso ogni persona che troviamo nella sofferenza. Per liberarlo. E così alleviare anche la sofferenza di Dio e con quella di Dio - Dio che porta dentro di sé ogni sofferenza umana - anche la sofferenza che ha potuto subire questa donna partecipando alla morte del figlio.

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