lunedì 16 marzo 2009

Lo Chopin partiva



Proprio perché oggi ci sono troppe donne convinte dall’imbonitore televisivo di turno che uno dei loro principali problemi sia “quel fastidioso prurito intimo” e molte altre il cui sogno principale è andare a sgambettare da “Amici” o vincere una selezione per fare la velina, la raccolta Lo chopin partiva. Storie di donne, edito dal mensile forlivese "Una città", 2007, Forlì (prefazione di Lea Melandri) è un libro necessario.
In esso, ventisei donne raccontano un pezzettino della loro storia personale che in molti casi si è intrecciata, spesso dolorosamente, con la Grande Storia. Guerre, persecuzioni razziali, eventi personali e collettivi di oggi o di un ieri solo passato prossimo, sono raccontati e filtrati dalla sensibilità, dall’esperienza, dalla materialità complessa che, forse, solo uno sguardo femminile sa esprimere.
Confesso che non sono riuscita a leggere la raccolta tutta d’un fiato. Ho avuto bisogno di sostare, di fermarmi, di prendere una boccata d’aria tra un racconto e il successivo, tali sono le emozioni trasmesse, la forza e l’intensità delle esperienze di vita raccontate. Che puoi gustare e assaporare solo a piccoli sorsi.
Con una prosa essenziale, senza fronzoli, senza retorica, con la naturalezza e la semplicità di chi si racconta mentre è alle prese con una pietanza da sfornare o con una camicia da stirare, Lisa Foa ci fa sentire il clima quasi magico della Resistenza quando “bastava un’occhiata durante un rastrellamento o una perquisizione in treno per capire chi ti poteva dare una mano” (pag.40); Elisabeth Seebacher racconta la realtà dura del maso, in SudTirolo, dove sino a sessanta anni fa, la perdita di una mucca era più grave della morte di una donna per parto; Laura Bonaparte, una madre di plaza de Maio, ci narra la sua lotta ostinata per ritrovare almeno i corpi dei tre figli uccisi e per tramandare la memoria storica della barbarie accaduta in Argentina…
Nelly Norton, ebrea polacca trapiantata in Italia dopo l’inatteso rigurgito antisemita diffusosi in Polonia nel ’67 dopo la guerra dei Sei giorni, col suo accorato narrare ci fornisce la spiegazione del titolo della raccolta: “Chopin si chiamava il treno che partiva da Varsavia e arrivava a Vienna (…) dove c’erano i campi di raccolta organizzati dalle associazioni ebraiche….” Mentre è di Gina Gatto, esule in Italia dopo le torture subite in Cile per l’opposizione alla dittatura di Pinochet, la bella foto di copertina. D’altra parte la raccolta non sarebbe la stessa senza le foto, che permettono a chi legge di dare una volto, una materialità carnale ad ognuna delle donne che raccontano e si raccontano. C’è poi un ulteriore motivo che rende prezioso questo libro: la pluralità dei piani di lettura. La raccolta infatti ha un suo spessore e una sua valenza significativa intanto come composita raccolta di memorie, ma è anche un piccolo, ricco e originale libro di storia, che spazia dalla II guerra mondiale al dramma dei profughi istriani; dalla Resistenza e dalla Shoah all’antisemitismo di ieri e di oggi; dal terrorismo degli anni ’70 al golpe di Pinochet e quello dei militari in Argentina; dalle peregrinazioni di un anarchico bastonato dai fascisti alla battaglia di Solidarnosc contro il comunismo totalitario. E altro ancora…
Perché poi non provare a leggerlo come libro di “genere”? O anche come una poliedrica storia del costume, viste le tante storie con risvolti sociologici: la vita difficile di chi è madre di una disabile, la solitudine dinanzi alla malattia e al disagio psichico, il senso del volontariato oggi, in Italia, in mezzo ai malati di Aids, in Perù, nel doloroso rapporto Nord/Sud…Per non parlare infine dell’implicita valenza didattico-educativa, che, a mio avviso, lo renderebbe necessario nella valigia degli attrezzi di ogni docente di Lettere delle scuole superiori. Docente che, attraverso la lettura de Lo chopin partiva, potrebbe suggerire ed evocare, nuove, altrettanto belle, narrazioni.
Maria D'Asaro

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